12/11/24

MINERALE O NATURALE, FORSE LEGITTIMO

30° Incontro Nazionale dei TEATRI INVISIBILI
Direzione artistica 
Laboratorio Teatrale Re Nudo
 
GLI ASPARAGI E L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA
di Achille Campanile

Voci recitanti
Chiara Bellabarba, Piergiorgio Cinì, Rosanna Listrani,
 Riccardo Massacci, Andrea Mondozzi, Roberta Sperantini

Fisarmonica: Sergio Capoferri

 

Teatro dell’Olmo - San Benedetto del Tronto - 10 Novembre 2024  h18

 

Ci salutano così, “quelli di Re Nudo”, realizzatori del 30° Incontro dei Teatri Invisibili appena concluso: nel piccolo affettuoso Teatro dell’Olmo che è tutto loro, da loro creato e custodito negli anni, minuscolo atollo dove coltivare una specie protetta e a rischio come il teatro. 
Si congedano regalandoci allegria - l’umorismo un po’ folle di Achille Campanile - nel teatro oggi stracolmo, che sui muri sciorina le locandine degli “Invisibili” di questi lunghi 30 anni, quell’ ininterrotto festone tutto da riguardare, per ricordare, per sorridere…ti ricordi? ti ricordi?...

 

E oggi con Campanile (del quale perfino la data di nascita potrebbe essere uno “scherzo”, se è vero che non sarebbe nato nel 1900 - come volle far credere - ma un po’ prima, forse perché non gli piaceva – fu detto – essere considerato uomo dell’800) ri-scopriamo che si può ridere del nulla e di noi stessi, delle nostre manie, degli stereotipi, del conformismo, delle convenzioni, del nostro stesso linguaggio; che si può scherzare “sul serio”, giacchè il reale è così assurdo da non richiedere sforzo per estrarne il lato comico.

 

L’umorismo d’altronde, già difeso da Pirandello nel saggio omonimo, vinceva proprio nei primi del ‘900 il pregiudizio accademico che negava dignità artistica al comico e lo relegava a rango minore nel panorama letterario. 
Qui oggi, nei densissimi 60 minuti che ci incollano ai gradoni del teatro, sperimentiamo dialogo per dialogo, scena dopo scena, il meglio del Campanile “depistatore” del linguaggio, suo bersaglio prediletto. Gioca coi paradossi e i non-sense, l’umorismo di Campanile che funambolico maneggia le strategie dell’assurdo e risente dei procedimenti sintetici e dinamici tipici del teatro futurista (L.Lanna); che, soprattutto, prende il linguaggio per i fondelli (U.Eco).

 

Giacchè sono giochi di prestigio i folgoranti atti unici, le tragedie in due battute, i dialoghi stranianti; le parole volteggiano e ricadono giù trasformate, dopo aver disegnato labirinti di non-senso, rifiutato ogni ordine prestabilito, sovvertito i rapporti fra le cose e delle cose con il reale. Obiettivo raggiunto, complice l’abilità degli interpreti, se sbalorditi percepiamo il surreale nella banalità e nel conformismo, negli stereotipi della conversazione quotidiana, se le nostre vicende di “animali parlanti” ci appaiono all’improvviso mutate di senso e di contesto al solo cambiare di accento o di sillaba.

 

Un reale visto in controluce che può con nonchalance trasformare in schermaglia - tra il Cameriere e L’uomo e La donna seduti al tavolo - la banalissima ordinazione di un’Acqua minerale: in cui, per parossistica acrobatica deviazione di significati, minerale e naturale mutano di ambito fino a spostarsi sul piano esistenziale, divenire surreale disputa sulla collocazione giuridica di un figlio a seconda che sia “naturale” o “legittimo”, fino al conclusivo deflagrante acme nel quale “Mio figlio è minerale e beve acqua legittima!”.

Di straniamento in straniamento, a riportarci nel reale tra una scena e l’altra è l’ammaliante fisarmonica del maestro Capoferri; intermezzi di preziose suggestioni classiche ma anche scanzonate sottolineature, ironiche e discrete, del linguaggio scenico là dove quest’ultimo si fa naturale virtuosismo senza affanno ne’ spettacolo. Come ne La quercia del Tasso, vertiginosa sarabanda linguistica in cui financo la burocrazia capitolina è rappresentata in affanno nello stabilire la quota da pagare per la sosta del tasso sotto la quercia del Tasso, “Cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso, e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso”.

 

Dal trascinante assolo del tasso, all’esilarante coralità della Visita di condoglianze e oltre, il vorticoso deragliare di significati disegna una realtà parallela, dove sono soprattutto l’attendibilità della parola e la presunzione del linguaggio come decrittazione del mondo ad essere messe in discussione. 

Ed è, la realtà disegnata da Campanile, vicina in modo sorprendente al nostro tempo, alle dinamiche manipolatorie della contesa politica, all’inversione strumentale dei significati. 

Proprio come ne La Rivoluzione, farsa che vede un funzionario imbecille (ma va’?) incapace di gestire il  tumulto di piazza e alle prese con un braccio artificiale che, ingovernabile, scatta da solo passando meccanicamente dal pugno chiuso al saluto littorio (uguale al La Russa senatore nei disegni di Stefano Disegni) finchè, bloccato il braccio in posizione innaturale, verranno acclamati quel gesto e quella posizione come simboli di un nuovo partito e di una nuova idealità, quella che si attendeva, e con essi si acclamerà l’uomo del destino, il nostro condottiero, evviva evviva
Surreale ma anche no, se guardiamo al nostro tempo e alle  dinamiche manipolatorie del dibattito, politico e non solo.

Cala idealmente il sipario che non c’è su questo spettacolo: i valentissimi interpreti hanno affettuosamente giocato col ricordo di un umorista saggio e profondo, “gioioso anarchico della scrittura”, prezioso nel nostro presente di imbarbarimento della parola scritta e parlata. 
Genio visionario, lo ha definito qualcuno, capace di “rendere significante ciò che in apparenza è privo di significato”; noi potremmo definirlo, a ragione, un genio naturale, forse anche minerale, sicuramente legittimo.

Sara Di Giuseppe - 12 novembre 2024

04/11/24

DUE FINLANDESI ALL’INFERNO

TEATRLABORATORIUM AIKOT 27

VERFREMDUNGSEFFEKT TESTIMONIAL
Rassegna di teatro poesia musica canto orchestra
A cura di Vincenzo Di Bonaventura e Teatro Aoidos
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INFERNA DANCTIS ORKESTRA
[CANTI XIII – XVIII]
con Vincenzo Di Bonaventura e Alberto Archini

OSPITALE DELLE ASSOCIAZIONI
GROTTAMMARE ALTA  -  2 Novembre 2024  h21,30

 

 

DUE FINLANDESI ALL’INFERNO
 

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi
(Inferno, XIII, v.37)

 


Eccola tornare in orbita, stasera, la nostra spaziale navicella poetico-musicale con dentro noi e Di Bonaventura attore solista e l’Inferno dantesco; ma stavolta alle percussioni di Archini Di Bonaventura - che da sole fanno già un’orchestra - si aggiungono le modulazioni folli e stranianti che i finlandesi Pohjonen e Kosminen estraggono dalla fisarmonica – in “Kluster” – sovvertendone schemi e confini e facendoti “dimenticare tutto ciò che pensavi di sapere sulla fisarmonica”… 

 

[Vetusta invece, stasera, l’attrezzatura sonora del nostro attore-regista-percussionista-tecnico del suono, quella sua nuova gliel’hanno rubata: arrebbate, dicesi in rosetano - ma in “quello di via Mincio” intendiamoci, mica abruzzese e basta - perché quando Vincenzo sfodera la sua “rosetitudine” significa che quella lingua lì ci vuole, e non altra]

 

E non c’è inferno più Inferno di questo, non c’è atmosfera più cupa di quella dei canti dal XIII (il più lugubre) al XVIII (con la rappresentazione della più bassa degradazione dell’uomo).  

 

Le sonorità percussive dilagano e incalzano in tutt’uno col respiro del metro dantesco, lo incastonano in un crescendo ribollente nel quale la voce dei dannati si deforma e si distorce in gorgoglio aspro; e alle tonanti percussioni d'atmosfera si sommano gli effetti stranianti della “fisarmonica preparata” di Pohjonen che “sembra in grado di scatenare gli elementi della natura”, magma vulcanico e venti e gemiti e scricchiolii…

 

Sembra scagli anche noi, questa ruvida cornice sonora, dentro la selva dei suicidi del Canto XIII: parole e sangue e strida aspre e orride delle Arpìe. 

Uomini fummo e or siam fatti sterpi: i dannati non sono imprigionati nei rami e negli sterpi, essi “sono” rami e sterpi, condizioni innaturali come innaturale è la dissociazione tra corpo e spirito prodotta dal suicidio.
Sanguinano quegli sterpi, se spezzati: uno di essi è Pier Della Vigna – giurista, rimatore della Scuola siciliana, protonotaro e logotetafedele segretario alla corte di Federico II stupor mundi - suicida per l’ingiusta accusa di tradimento. Dante ne è colpito con insopportabile intensità, la sorte di quel dannato lo riconduce penosamente alle ragioni della propria vicenda politica, a quella connaturata dirittura morale che rifiuta il compromesso, al doloroso distacco dell’esilio.

 

E canti appassionatamente “politici“ sono infatti questi: dietro il destino personale dei dannati si staglia la tragedia di Firenze - città confusa e violenta, vittima degli odi di parte - e vi si legge la decadenza di una società che, come nel nostro infelice presente, eleva denaro e potere “a principio di valutazione dell’uomo”. 

È una Firenze ormai perduta per sempre: quella che era già affiorata al ricordo di Dante nel dolente incontro con Brunetto Latini, del quale indelebile è in la mente (…) la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora /  m’insegnavate come l’uom s’etterna.

Quella Firenze non c’è più: materialismo affaristico, “invidia, avarizia, superbia” vi dominano, su di essi poggia la corrotta società mercantile dell’epoca (e sembra di parlare del nostro oggi).  

Gerione, mostro infernale, ne è rappresentazione: simbolo della frode, la testa di uomo e la guizzante coda velenosa, in esso culminano la polemica antifiorentina e la condanna del presente: sul suo dorso Dante e Virgilio, in un crescendo di  emozioni e timori, in un volo plasticamente disegnato tra il realistico e il meraviglioso, supereranno  il baratro che li separa dalle Malebolge e dalla più cupa rappresentazione del degrado umano.

 

Qui il ritmo delle percussioni,  il “sabba contemporaneo” e gli echi ancestrali della fisarmonica di Pohjonen si fanno ossessivi e ti afferrano, ti scagliano lontano come Dante e Virgilio sulla groppa di Gerione. Come loro atterreremo dopo aver sperimentato la vertigine.

 

È forse frutto del “volo”, questa sorta di fuggevolissima ipnosi che d’un tratto mi fa “vedere” la sala del grottammarese Ospitale piena all’inverosimile di gente, anche in piedi? 
Di intellettuali, giornalisti, assessori alla cultura (parlandone da svegli), studenti, insegnanti, circoli e associazioni culturali (si fa per dire), rappresentanti delle istituzioni...
Giacchè è di Dante che si parla stasera, e del poema più alto che mai sia stato concepito fra cielo e terra…
 
Ebbene no, è solo un attimo di felice trance: torno alla nuda realtà, la sala conta ancora 9 (nove!) spettatori, forse meno.

 

Ma tocca terra
 ancora una volta, la nostra navicella: e noi pochi sì, noi abbiamo visto cose che voi umani…
 
Sara Di Giuseppe - 4 novembre 2024