04/11/24

DUE FINLANDESI ALL’INFERNO

TEATRLABORATORIUM AIKOT 27

VERFREMDUNGSEFFEKT TESTIMONIAL
Rassegna di teatro poesia musica canto orchestra
A cura di Vincenzo Di Bonaventura e Teatro Aoidos
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INFERNA DANCTIS ORKESTRA
[CANTI XIII – XVIII]
con Vincenzo Di Bonaventura e Alberto Archini

OSPITALE DELLE ASSOCIAZIONI
GROTTAMMARE ALTA  -  2 Novembre 2024  h21,30

 

 

DUE FINLANDESI ALL’INFERNO
 

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi
(Inferno, XIII, v.37)

 


Eccola tornare in orbita, stasera, la nostra spaziale navicella poetico-musicale con dentro noi e Di Bonaventura attore solista e l’Inferno dantesco; ma stavolta alle percussioni di Archini Di Bonaventura - che da sole fanno già un’orchestra - si aggiungono le modulazioni folli e stranianti che i finlandesi Pohjonen e Kosminen estraggono dalla fisarmonica – in “Kluster” – sovvertendone schemi e confini e facendoti “dimenticare tutto ciò che pensavi di sapere sulla fisarmonica”… 

 

[Vetusta invece, stasera, l’attrezzatura sonora del nostro attore-regista-percussionista-tecnico del suono, quella sua nuova gliel’hanno rubata: arrebbate, dicesi in rosetano - ma in “quello di via Mincio” intendiamoci, mica abruzzese e basta - perché quando Vincenzo sfodera la sua “rosetitudine” significa che quella lingua lì ci vuole, e non altra]

 

E non c’è inferno più Inferno di questo, non c’è atmosfera più cupa di quella dei canti dal XIII (il più lugubre) al XVIII (con la rappresentazione della più bassa degradazione dell’uomo).  

 

Le sonorità percussive dilagano e incalzano in tutt’uno col respiro del metro dantesco, lo incastonano in un crescendo ribollente nel quale la voce dei dannati si deforma e si distorce in gorgoglio aspro; e alle tonanti percussioni d'atmosfera si sommano gli effetti stranianti della “fisarmonica preparata” di Pohjonen che “sembra in grado di scatenare gli elementi della natura”, magma vulcanico e venti e gemiti e scricchiolii…

 

Sembra scagli anche noi, questa ruvida cornice sonora, dentro la selva dei suicidi del Canto XIII: parole e sangue e strida aspre e orride delle Arpìe. 

Uomini fummo e or siam fatti sterpi: i dannati non sono imprigionati nei rami e negli sterpi, essi “sono” rami e sterpi, condizioni innaturali come innaturale è la dissociazione tra corpo e spirito prodotta dal suicidio.
Sanguinano quegli sterpi, se spezzati: uno di essi è Pier Della Vigna – giurista, rimatore della Scuola siciliana, protonotaro e logotetafedele segretario alla corte di Federico II stupor mundi - suicida per l’ingiusta accusa di tradimento. Dante ne è colpito con insopportabile intensità, la sorte di quel dannato lo riconduce penosamente alle ragioni della propria vicenda politica, a quella connaturata dirittura morale che rifiuta il compromesso, al doloroso distacco dell’esilio.

 

E canti appassionatamente “politici“ sono infatti questi: dietro il destino personale dei dannati si staglia la tragedia di Firenze - città confusa e violenta, vittima degli odi di parte - e vi si legge la decadenza di una società che, come nel nostro infelice presente, eleva denaro e potere “a principio di valutazione dell’uomo”. 

È una Firenze ormai perduta per sempre: quella che era già affiorata al ricordo di Dante nel dolente incontro con Brunetto Latini, del quale indelebile è in la mente (…) la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora /  m’insegnavate come l’uom s’etterna.

Quella Firenze non c’è più: materialismo affaristico, “invidia, avarizia, superbia” vi dominano, su di essi poggia la corrotta società mercantile dell’epoca (e sembra di parlare del nostro oggi).  

Gerione, mostro infernale, ne è rappresentazione: simbolo della frode, la testa di uomo e la guizzante coda velenosa, in esso culminano la polemica antifiorentina e la condanna del presente: sul suo dorso Dante e Virgilio, in un crescendo di  emozioni e timori, in un volo plasticamente disegnato tra il realistico e il meraviglioso, supereranno  il baratro che li separa dalle Malebolge e dalla più cupa rappresentazione del degrado umano.

 

Qui il ritmo delle percussioni,  il “sabba contemporaneo” e gli echi ancestrali della fisarmonica di Pohjonen si fanno ossessivi e ti afferrano, ti scagliano lontano come Dante e Virgilio sulla groppa di Gerione. Come loro atterreremo dopo aver sperimentato la vertigine.

 

È forse frutto del “volo”, questa sorta di fuggevolissima ipnosi che d’un tratto mi fa “vedere” la sala del grottammarese Ospitale piena all’inverosimile di gente, anche in piedi? 
Di intellettuali, giornalisti, assessori alla cultura (parlandone da svegli), studenti, insegnanti, circoli e associazioni culturali (si fa per dire), rappresentanti delle istituzioni...
Giacchè è di Dante che si parla stasera, e del poema più alto che mai sia stato concepito fra cielo e terra…
 
Ebbene no, è solo un attimo di felice trance: torno alla nuda realtà, la sala conta ancora 9 (nove!) spettatori, forse meno.

 

Ma tocca terra
 ancora una volta, la nostra navicella: e noi pochi sì, noi abbiamo visto cose che voi umani…
 
Sara Di Giuseppe - 4 novembre 2024


 

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