VERFREMDUNGSEFFEKT TESTIMONIAL
Rassegna di teatro poesia musica canto orchestraA cura di Vincenzo Di Bonaventura e Teatro Aoidos_'NDO' e LA STANZA BREVEdiGIARMANDO A. DIMARTIcon Vincenzo Di Bonaventura attore solista - Alberto Archini percussioni
OSPITALE DELLE ASSOCIAZIONIGROTTAMMARE ALTA - 30 Novembre 2024 h21,30
“IL CANTO ANTICO DEL DOLORE” *
Vincenzo Di Bonaventura Giarmando A. Dimarti
dove questo tempo induce il tuo confuso esistere?
su quali illusioni vesperali naviga la mente fatìca
il cuore calpestato la ragione abbattuta?
(G.Dimarti, in La pula e il vento, 2013)
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Se la poesia di Giarmando Dimarti incontra la voce dell’attore solista e questi è Vincenzo Di Bonaventura e ne nasce poderosa ri-scrittura scenica della produzione dimartiana, l’evento potrebbe richiamare millemila spettatori (come per Carmelo Bene al teatro Alle Cave di Sirolo) e ci vorrebbero i tornelli.
Se non si fosse a Grottammare.
Un gigante della poesia e un gigante del teatro: per noi pochi fortunati, è concerto per voce sola e djembe e percussioni ardite, ed è poesia che ti inchioda come urto poderoso di vento che ti obbliga a fermarti, a piegarti su te stesso. E la macchina attoriale che è Di Bonaventura si lascia possedere dalla grande poesia di Dimarti: l'attore-solista si fa aoidos di versi titanici e quelli ti arrivano dentro in forma di vibrazioni ed ogni cellula, in modo profondo, quasi primitivo, ne è raggiunta.
Tambureggiare di djembe, vortice di percussioni, e la voce si fa lamento dissotterrato da affogate memorie: il verso dimartiano, sperimentale e frantumato, destrutturato e al tempo stesso di lingua antichissima e dotta, irrompe apocalittico nel conformismo anche linguistico, perché il velo delle cose ne sia squarciato, perché il poeta possa ripiegarsi sul dolore eterno di una terra erranea sdraiata fraudolenta, evocare presago il cieco precipitare della nostra vita in disarmo verso il tempo destinato, verso il “primate futuro” che noi torneremo ad essere nel ”giorno dopo / il dies illa quel giorno proprio quello”.
Scavano implacabili l’indicibilità del reale, quei versi, gridano il chiassato silenzio di un mondo arreso, di un obeso presente contro il quale la parola poetica - taci il tuo ciancio cantare / poeta - s’infrange e muore. Perché alla poesia con le sue balorde sfioccate bandiere sonore non possiamo chiedere, montalianamente, la parola salvifica nella spaesata realtà di un oggi in avaria dell’umano.
Balena tuttavia il seme di una speranza nuova, nel poeta: l’ "animula vagula blandula" batte in cerca di una nostra sopravvissuta umanità, ed è allora che la pena del vivere si sublima, nel verso di Dimarti, nell'idea possente di un recupero dell’uomo; batte là dove si china pietosa sulla sorte di uomini bui senza nome senza storia, fratelli nella acerba vita e nella morte aperta; si piega sul ricordo dell' amico suicida, su quel cuore in ritardo per un giorno senza rive che tragicamente ha cercato un’alba di là da tutto // senza più paura; s'interroga sull'uomo fatto solo, perchè è caduto il respiro che univa l'uomo alla pena / dell'uomo.
Ed è ancora lo scorrere esiliato di questo povero tempo sgomento che muove l'afflato dell'altissima poesia civile di Dimarti, il suo disperato j’accuse: per un'umanità emarginata ed errante, con le labbra incollate dai digiuni (a chi offrirete a sdebitarvi / il vostro pane cencioso / se le mie ossa scricchiolano / come un rotto ramo triste senza stagioni? ); per una quotidianità che lascia sgomenti e sovrasta ed umilia; per l’umana follia che come acqua cupa / ha innalzato la sua forza in bave lattiginose contro la costa; per l’incapacità di decifrare l’insensato presente, per la devastazione obbligata, per l’indicibilità di una barbarie che attecchì sotterranea / funesta, per l’annientamento possibile.
Ecco allora l’urgenza poetica e la denuncia, il rifiuto di un oggi devastato e svenduto - ho paura dell'uomo - e la tensione verso un recupero di umanità che ricomponga l’unità perduta con il tutto, che additi un orizzonte nuovo.
Perché non si debba soltanto cadere sotto il dolente carico di vita calato sul mio tempo, perchè ci si possa sottrarre allo schiamazzo ebete del giorno, abbiamo bisogno di quel canto poetico: visionario, presago, umanissimo. Venuto fino a noi stasera con la voce aedica, per lungamente restare.
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- Le citazioni provengono dalle raccolte poetiche di G.A.Dimarti:
La pula e il vento; Le stagioni dismesse; E' tutto sotto controllo; Il tempo che ci siamo dati; La stanza breve.
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*( G.A.Dimarti, La stanza breve)
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