04/02/25

IL CARNEVALE DI POE

 

“POE” 

Regia e Coreografia      Lenka Vagnerová

Musica                 Ivan Archer


Národní Divadlo (Teatro Nazionale) - Laterna Magika


Praga    26.01.2025 



Tutto ciò che vediamo, o che ci par di vedere
non è ch’un sogno dentro un sogno.


[E.A.Poe, 1849]


 

“Il dolore ha molti volti. La miseria del mondo assume molte forme” scriveva Edgard Allan Poe e il suo genio allucinato estraeva da quel dolore le immagini di un mondo capovolto e folle, quasi scena teatrale in cui ogni cosa è possibile. Universo diviso tra orrore, misticismo, sogno, umorismo, quello di Poe: che ricreato per il Laterna Magika del Teatro Nazionale dalla coreografa e regista di teatro-danza Lenka Vagnerová, si trasforma in gigantesco carnevale, sorta di teatro totale che coinvolge attori, ballerini, maschere, performer, oggetti di scena; fatto di danza, canto, parole, musica. 

Quest’ultima, nelle sonorità create da Ivan Archer con la stratificazione degli strumenti e i suoni speciali,  aderisce ipnoticamente al mondo visionario di Poe trasferendone sul piano musicale in ugual misura il lirismo, la sofferenza, la follia. 

 

E sono i racconti Il pozzo e il pendolo, Hop Frog, La maschera della morte rossa, interconnessi dalla struttura drammaturgica e raccordati da audaci soluzioni scenografiche, a fare dell’universo onirico, poetico, ammaliante dell’autore uno spettacolo iperbolico e sorprendente, inquietante e labirintico. 


Vi trionfa la forza evocatrice dello scrittore che seppe scandagliare ogni angolo, luminoso e oscuro, della psiche umana; riconoscervi la bellezza, contemplare con occhio assorto il potere e il male nelle sue infinite ramificazioni, prendersi gioco del demoniaco, sentire la poesia dove più la paura, la povertà, il dolore aggrediscono la dignità umana. 

Vi riversava intera  la sua esperienza di vita, la percezione del volto oscuro delle cose, la coscienza della morte come elemento costitutivo della vita e dell’amore, lo stigma di un'esistenza vissuta controcorrente (così come bambino nuotò per 6 miglia controcorrente nel fiume James a Richmond). 

Quell’universo dolente e profondamente intimo racchiudeva in sé gli interrogativi eterni dell’uomo, e quello che Dino Campana chiamerà più tardi il panorama scheletrico del mondo.

 

Su questa scena le storie, non narrate bensì evocate, si dipanano in un caleidoscopio di immagini di assoluta oniricità, di soluzioni visive eccentriche, di fantastici oggetti di scena in un flusso continuo di azioni che materializzano pensieri, emozioni, deliri di una creazione letteraria tuttavia lucidissima, che della mente umana ha scandagliato tutte le profondità, anche quelle che non vorremmo vedere, che non avremmo mai visto; che seppe scrivere con uguale profondità  di filosofia e di Dio, di morte e di vita…

 

Ecco allora, in questa produzione che unisce danza e drammatizzazione, l’enorme pendolo del racconto omonimo, con la sua lama tagliente simile al braccio di una torre mineraria, attraversare ritmicamente il palco per fermarsi ora a destra ora a sinistra

Ecco i corvi disseminati sulla scena far da contorno alla figura dello stesso Poe emergente da un tappeto di libri e di carte. 

Ecco nello straniante Hop frog i surreali deformi costumi dei cortigiani, quasi a voler renderne visibile esteriormente la deformità interiore (costumi che sadicamente si incendieranno – ma qui è solo vento – proprio come, se è vera la storia, in quel “ballo delle lucciole” del 1393 in cui i costumi del re francese Carlo VI presero fuoco).

Ecco la danza degli Inquisitori, terrificanti nell’immobilità facciale e nelle pettorine bianche emergenti dalla scena buia; ecco i topi (meccanici, vivaddio) invadere la scena; ecco i ballerini spostarsi meccanicamente su carrucole fissate ai piedi in una rigidità robotica che accresce l’orrore.


C’è la farsa e c’è il dramma, ci sono le atmosfere gotiche  e la poesia, in questo allucinato carnevale da cui emerge la forza creativa di un gigante della letteratura. 

Ci sono i fantasmi sinistri che ne popolarono l’immaginario esistenziale,  c'è il suo universo letterario alla ricerca costante della perfezione; c'è il lato oscuro di una sensibilità accesa tanto segnata dalla perdita e dalla paura quanto attratta dalla bellezza e dalla poesia (Ch.Baudelaire trovava, nella sua, “qualcosa di profondo e luccicante come il sogno, di misterioso e perfetto come il cristallo”).

 

Un mondo interiore tormentato e immaginifico, un messaggio universale che promanava dalla cognizione del dolore tanto quanto dallo slancio vitale che a quella si accompagnava: tutto questo si è fatto spazio a lungo oggi sulla scena, e con l’amorevole devozione che si deve ai grandi ha materializzato qui, per noi, il  genio ammaliante e unico di questa “lanterna magica”, il fantasma lunare di Poe. 

 

 
Sara Di Giuseppe - 3 febbraio 2025

01/02/25

AL RITMO DEL CUORE

 “bpm”
[beats per minute]

Coreografie:
Artza di Eyal Dadon – Bohemian Gravity di Yemi A.D. – Bill di Sharon Eyal e Gai Behar

Solisti e Corpo di Ballo del Teatro Nazionale di Praga

Teatro Nazionale - Praga - 25 gennaio 2025 h18


Battiti per minuto - beats per minute - è la misura del tempo, così nella musica come nel movimento e nella frequenza cardiaca.

Due coreografi cechi e un israeliano, e un trittico coreografico che al centro ha l’uomo, il suo cuore pulsante che tutto determina, che stabilisce il ritmo del corpo e il corpo a sua volta influenza il ritmo del cuore, della musica, della danza: tutto questo è qui, nella danza che si fa messaggio critico sullo stato della nostra umanità, sullo scontro degli opposti che è oggetto primario della scena e la scena è il mondo, teatro delle contraddizioni nel quale da sempre confliggono natura e cultura, istinti e regole sociali, libertà individuale e ordine gerarchico. 

 

Che sia l’animale interiore, ingabbiato da regole e confini sociali, evocato in “Artza” - espressione ebraica del comando perentorio che viene dato al cane - in cui il vocabolario della danza si fa metafora di una società voyeuristica che rifiuta l’animalità ma ne è al tempo stesso attratta; che sia “Bohemian Gravity” evocante nel sottotitolo - Searching for Freedom - quella ricerca di libertà nel labirinto esistenziale che è sfida illusoria e spesso perduta, proprio come il tentativo di contrastare la forza di gravità che ci riconduce ogni volta a terra; che sia l’ipnotico “Bill”, in cui l’uniformità dei corpi fasciati da costumi identici, spersonalizzati fino all’estremo da lenti incolori che accentuano l’astrazione degli sguardi: l’intero trittico è esso stesso metafora, nella diversità delle parti, della belligeranza tra forze uguali e contrarie - natura e società, individuo e massa, diversità e omologazione - che definisce ontologicamente la natura umana.


In ciascuno dei tre elementi la danza dispiega un vocabolario di movimento di rara forza evocatrice: ora dilata lo spazio scenico, come in Gravity, dominato da cerchi concentrici che  paiono voler attrarre i danzatori nella propria orbita luminosa come corpi cosmici e i corpi disegnano arabeschi di moto che sembrano spingerli al di sopra della materia salvo esserne respinti dalla propria ineluttabilità corporea; ora lo restringe claustrofobicamente evocando in Artza le gabbie della nostra ferinità interiore e dell’umano soggiacere all’artificiosità degli schemi, alla ferocia delle gerarchie; ora infine lo spazio stesso sembra ritrarsi e scomparire, in Bill, in una dimensione astratta e atemporale fatta di corpi robotizzati, uguali e ugualmente indistinti.


È soprattutto in Bill, nella stratificazione ipnotica di ripetizioni, che la danza riproduce il secolare dissidio tra coscienza individuale e maschere sociali: nel gruppo umano uniforme e indistinto la ripetizione degli schemi di movimento, l’alternarsi di fluidità ed elementi robotici, il linguaggio musicale duro e minimalista affidato al ritmo di musica techno, tutto questo disegna un unicum indifferenziato di individui (…Stesso tempismo, stessa forma, stessa idea, stesso stile… e al tempo stesso assoluta differenza, sottolinea la coreografa Sharon Eyal) e chiama in causa il ruolo del singolo nella massa, le relazioni di quello con la società, quell’imposta uniformità che solo in apparenza è armonia. 

 

E sono allora lo scatto del corpo, l’interruzione del moto, la deviazione dalla traiettoria, ad indicare lo strappo nella rete, l’anello che non tiene; e l’astrazione di una danza sofisticata, quasi asettica, cede alla concretezza e al peso di una materia umana che superando contraddizioni e paradossi pulsa da milioni di anni al ritmo del cuore. 

Nell'intensità del tessuto musicale che appoggia ed esalta la fisicità dei danzatori, emergono la perfezione di una tecnica rigorosa ed un'espressività attoriale con cui ogni interprete contribuisce a disegnare l’immaginario confine tra mondo interiore e mondo esterno, 

Così che possiamo ricordare a noi stessi, quale che sia il mondo che ci contiene e ci ingabbia, che sempre è  il ritmo del nostro cuore la misura vera e autentica del vivere.

 


 
Sara Di Giuseppe - 31 gennaio 2025