Appunti di viaggio. Corrispondenza da San Pietroburgo. Dezinformatsiya
Appunti di viaggio. I colori. Prague Half Marathon
Viaggio nel tempo. Fra Medioevo e Rinascimento: Ser Berluschetto (*)
Buongiorno,
da mia cità di Sankt-Peterburg io sempre segue vicende di Italiya su
vostre gazety e in televidenie. Ogi fa grandi risa con miei amici di
Rossiya per vostra politika chi è molto ridikula e ci molto diverte:
noi no può crede chi pregiudicato Burleskon, condanato per frode
finansovy (chi in Rossiya è molto gravissimo reato, colpevoli va
dritto a campo di lavoro in Sibir’) è ancora libero, e tribunal
lui “condana” a cambia panolony in Residence di anziani, e solo 4
ore di setimana! (Legge italianskiy dice: afidamento a servizi
sotsialniy è per colpevole chi mostra ravvedimento. Burleskon
strilla chi lui innocent, sentenza è ingiusta e magistrati lui
perseguita, alora lui è kriminal “raveduto”?). Questa
è più buffa komediya chi noi mai visto, pregiudicato perfino fa
kampaniya elektoralni per suo partito, fa comizi e parla in
televidenie, e condiziona politika e vita publica! In mia cità
nesuno capisce come molti genti di Italiya lui segue e vota sua
partiya, e tuti noi pensa molto absurdny chi prezident Metyu Renzo fa
akordi con lui chi è pregiudicato e con sua partiya di indagati! Io
pensa che grande problem di Italiya è sua mediocre politicheskiy
klass, chi no afronta strukturalnie problemy di Paese:
demagogicheskiy reformy di giovane Metyu Renzo porta solo voti per
Yevroparlement a suo partito PD “in caduta libera”. (Mi anche
molto meraviglia come giovane Metyu parla e scrive: lui dice suoi
aversari è “gufi”e
“rosiconi”…
cosa è questo? Lui parla come teenager in gita scolastica! Voi
imagina Frau Merkel o Mr Cameron o Monsieur Hollande chi parla come
liceali?...).
Grave
problem di Italiya è anche dezinformatsiya:
con pochisime ecezioni, vostra stampa no è indipendent (zhurnalisty
di novosti in televidenie è pegio di tuti: loro completamente
aserviti e fa solo turetsky baraban - “grancassa” voi dice - di
potere) e anche è provintsialniy. Zhurnalisty scrive sempre
moltisimo su diskusia e litigi di politicheskiye partii, poco di
problemy internatsionalniy e se risveglia solo si acade katastrofy,
teremoti, tzunami.
Loro
quasi ignora o parla pochissimo di molto gravisimi temi, come
teribile guera etnica in Sud Sudan, dificile situatsiya di Mali (dove
jihadisti ha uciso ostagio francese), di Siriya, di Egypt. Io ricorda
che quando iniziata gravisima crisi di Ukraina, zhurnalisty in
televidenie dava come prima novosti… Sorentino vincitore di
Oscar! Dunque
si io lege o ascolta rasegna di stampa italiana, io muore
leteralmente di noia, invece grandi gazety di Germanyia, Anglyia,
Frantsiya ecc. ha sempre in prime pagine grandi temi politicheskiy e
sotsialniy di tutto il mondo. Oggi in
sue prime pagine “NY
Times” ha protesta di famiglie di sherpa morti su Everest; Al
Jazeera parla di Qatar chi sfruta operai chi lavora per prosimi
mondiali; “The Guardian” parla di situatsiya in Pakistan, “The
Washington Post” ricorda strage di operai in stabilimento tessile
Rana Plaza in Bangladesh un anno fa, BBCNews dice di navi americane
in Polonia per krizis di Ukraina, etc… E stampa italianskiy in
prima
pagina
ha…
“Letta
vede Matteo”,
“La
sfida di Renzi sul lavoro”
“La
scure di Renzi”,
“Poletti
si sfoga con Sacconi”,
“Alitalia,
le banche frenano”,
“Test
a medicina, sospetti sui promossi”,
etc…
Infine,
io domanda a italianskiy zhurnalistiy: posibile nesuno di voi condana
come “follia”
gigantesco evento di doppia canonizazione di papi a Roma? Come nesuno
dice chi è follia 8
o 11 milion di yevro per
organisatsiya (e solo 500.000 pagati da Stato di Vatikan!), follia
invitare tanti capi di Stato e tuta Roma militarizzata per giorni?
Forse i santi ha bisogna di circo mediatico e sfogio di potere e
richeze? Forse voi tuti genuflessi, no ha coragio per fare kritika a
potente Vatikan e potentisima Chiesa Katolicheskaya?
Papa
Bergoglio, chi ama semplicità, povertà, umiltà, poteva lui se
afacia di finestra in Sankt Petra e dice - o scrive su feissbuc - : “Cari
frateli e sorele, questi due papi da ogi sono santi”.
Forse
loro così sarebe stati meno santi?
Può
qualcuno mi risponde? Spasibo.
Do
svidaniya.
Sara
Josefovskaia
Appunti di viaggio. I colori. Prague Half Marathon
Brillano sotto il cielo di un
grigio testardo, i colori: la tavolozza folle dei
dodicimilacinquecento runners venuti da ogni dove, il rosa sfrontato
delle immense magnolie e il bianco virgineo dei meli in fiore in
pieno centro-città (meditiamo, italiani, meditiamo), il verde
collinare incoronato dal Castello e dalle guglie di San
Vito. Piazza Jan Palach è invasa: le quinte severe -
l’asburgico Rudolfinum, l’austera Facoltà di
Filosofia, l’Accademia di Belle Arti - sono vecchie
signore aristocratiche trascinate in un carnevale di folla, atleti,
musica, gazebo, postazioni tecniche, caleidoscopico ambaradan di
un’organizzazione gigantesca e perfetta. Allegria contagiosa, ti
metteresti a correre anche se non hai mai corso più di un’ora di
seguito in vita tua e con andatura da vecchia Trabant.
Mezz’ora allo start, atleti stipati dentro le transenne nei settori
distinti per lettera, A, B, C, fino alla J e forse oltre, si
scaldano, socializzano, aspettano, fibrillano. Nei primi settori
quelli “bravi”, col numero di pettorale basso. Davanti alla massa
e fuori dalle transenne il gruppo delle star: gli atleti keniani,
etiopi, ecc. Sono i favoriti, sanno e sappiamo tutti che vinceranno.
Gazzelle metropolitane, farfalle che sfiorano il suolo, protagonisti
della simbolica nemesi che alla partenza li colloca davanti a tutti,
liberi e fuori dai recinti che ingabbiano il gregge dei “bianchi”.
E vinceranno, 21 chilometri in meno di un’ora: figli del vento,
keniani come il vincitore Peter Kirui e la vincitrice Joyce
Chepkirui, etiopi come gli altri medagliati… forse l’alato
Ermes correva così.
Sono le 12 in punto e non
immagineresti, nel trentacinquenne col viso da ragazzo che darà lo
start, solo e senza arroganti scorte in occhiali scuri e auricolare,
il sindaco di tanta città. E’ un istante, lo sparo scioglie
tensione e attesa nel lunghissimo fragoroso applaudire: il fiume di
gambe scorre, come la Vltava fluisce nel maestoso secondo
movimento della sinfonia “Má Vlast” che meravigliosamente
accompagna i 12.500. E ancora i colori, adesso è il verde fluo dei
runners della RWTTC (Run Whit Those That Can’t,
“Corri con chi non può”), organizzazione fondata da
studenti della Terza Facoltà di Medicina dell’Università Carlo
IV: spingono gli agili “tricicli” dei ragazzi con distrofia
muscolare, li sommerge l’entusiasmo di tutti, mai nessuno è stato
applaudito così. Tra la partenza festante e la fatica dell’arrivo
c’è un fiume di corpi belli, brutti, atletici, improbabili, che
attraverseranno strade e quartieri, ascolteranno la folla gridare e
applaudire, i complessini suonare e incitare; incroceranno,
applaudendoli, i keniani che li doppiano, le gazzelle con le ali ai
piedi sono irraggiungibili, sono un giorno avanti. Dal centro alla
periferia, sui lungofiume e dappertutto il calore del pubblico è
costante, le auto sparite da mezza città, niente automobilisti a
sgasare irritati e inveire all’intoppo, non è Milano.
Gli arrivi sono momenti unici: si
può essere freschi come fiori di campo o traditi dalle gambe che
cedono a cento metri dal traguardo e non c’è modo di rialzarsi, o
raggianti come i volontari in verde, imprevedibili come il runner in
tenuta da galeotto, affettuosi come Kristynka con la scritta “Auguri
mamma, Happy Birthday mum” sulla maglietta….
Il dopo è il coloratissimo
frantumarsi dei dodicimilacinquecento in migliaia di rivoli, sul
verde dei prati, sotto le magnolie in rosa, presso le postazioni
azzurre; solo il cielo è di un grigio coerente ma chi gli dà retta,
gli siamo grati del sole di ieri e d’aver camminato in sandali ed
esserci sdraiati nei prati. Coi teli argentati sulle spalle gli
atleti adesso sono un po’ marziani un po’ eroi dei fumetti: una
parte di me li invidia, magari nella prossima vita sarò RedBull
e non Trabant, e correrò anch’io.
Sara Di Giuseppe
Appunti
di viaggio. Lettera-Corrispondenza da San Pietroburgo. Mercato di
vacche
Buongiorno,
di mia
cità di Sankt-Peterburg io segue politika di vostra Italiya e io
resta veramente incredula e no capisce molte cose.
Diskutsia
su elektoralny lege somilia come mercato di Zelenogorsk, dove
contadini contratta prezzo di sue vacche: vostri politikeschiy trata
premio di maggioranza, 35%, 38%, 37%... proprio come vacche di
Zelenogorsk!
Quando
io letto chi giovane Metyu Renzo fa akordo con vechio Burleskon, io
quasi morta di ridere: io pensava molto ridikulo scherzo di
zhurnalisty, come di karnival, ma miei amici di Italiya conferma che
tuto vero. Alora io domanda: Burleskon è condanato definitivo da
tribunale per molto odioso reato di evasione finansovy, da? Come
alora dopo tanti mesi lui no paga sua pena, e invece lui libero,
parla in televidenie e ancora condiziona vostra politika e perfino
decide nuova lege elektoralny? In mia Rossiya lui subito era in campo
di lavoro in Sibir’!
Forse
Italyanskiy è mazokhisty? Loro stregati da Metyu chi fa akordo con
pregiudicato evasore, e Parlement vota elektoralny lege-truffa chi
nasce da quelo akordo fuori di Parlement, e anche aprova
decreto-truffa chi fa regali a banky! Questo è molto gravisima cosa,
ma io vede che ogi tuti grida, no contro questi skandal, ma contro
partiya di oppozitsiya chi denuncia questi skandal e violazione
continua di demokratiya: questo a me somilia come Pinokio chi tira
martello e spiacica su muro grillo parlante perché lui rimprovera e
dice verità! E anche vostre gazety quasi tutte fa “cani da
riporto” e strilla di più!
Alora
io domanda: perché tutti “guarda dito che indica luna” e tutti
strilla contro chi denuncia porcelate, e invece no “guarda luna”
che è politikeschiy e dirigentniy klass incapace e korota, chi
calpesta demokratiya e fa solo suoi giochi di potere? In mio paese
dice: “tu è stupid, se tu guarda dito e no guarda luna”!
Io
anche legge statistika chi dice Italiya è paese klassist, dove no è
giustizia sotsialny, solo 10% di familie ha 46% di natsionalny
riccheza; perfino Consilio di Yevropy condana vostro paese per
violazioni di Sotsialnaiya Khartiya (carta sociale voi dice, da?).
Alora
io domanda: come voi tolera politicheiskiy klass chi no afronta
questi grandi problemi e passa tutti mesi in diskutsiya e porcelate
su elektoralny lege e fa kompromiss con chi ha portato vostra Italiya
in ruiny? Come Italyanskiy no caccia loro con forcony in suo
didietro? Io no capisce. Può qualcuno mi spiega? Spasibo.
Do
svidaniya
“Povero
Pinocchio, mi fai proprio compassione, perché sei un burattino e,
quel che è peggio, perché hai la testa di legno!” (C.Collodi,
Le avventure di Pinocchio, cap.IV)
Sara
Josefovkaja
Viaggio
nel tempo. Fra Medioevo e Rinascimento: Honorato Matteuccio...
Silviuzzo carissimo
[Carteggio
segreto fra Matteuccio da Firenze e Silviuzzo da Arcore, prima
dell’incontro di Roma]
Firenze
Compare
mio caro, non ho avuto maggior dolore di quando intesi voi essere
condannato. Duolmi non vi havere potuto aiutare, come meritava la
fede che avevate in me, né potervi giovare in cosa alcuna. Ora,
compare mio, quello vi ho a dire è che voi facciate buon cuore a
questa persecutione, come avete fatto all’altre che vi son sute
facte, et che quando sarete liberato dal confino, voglio vegnate a
starvi qua a piacere, quel tempo che vorrete. Et dove sarò, o in
villa, o in Firenze, o a Roma, sarò, come sono stato, sempre vostro.
So bene che niente può il coraggio, o la prudenza, o la forza, o
qualunque virtù, se manca la fortuna. A Roma, di questo si vede ogni
giorno la prova.
Conosco non pochi, ignobili, illetterati, dappoco,
godere di altissima autorità, et con improntitudine et astuzia, più
che con ingegno et prudenza, si fanno strada. Et per tutte le cause,
et maxime per questa, desidererei essere con voi, et vedere se noi
potessimo rassettare questo mondo, et, se non il mondo, almeno questa
parte qua.
Sono
vostro
Matteuccio
da Firenze
Arcore
Magnifice
orator, la vostra lettera tanto amorevole mi ha fatto dimenticare
tucti gli affanni passati. Et questi miei affanni li ho portati tanto
francamente, che io stesso me ne voglio bene. Et se parrà a questi
governanti di non lasciarmi a terra, io l’avrò caro; et se non
parrà, io mi vivrò come io venni al mondo, che nacqui povero, et
imparai prima a stentare che a godere.
La
Fortuna ha fatto sì che, non sapendo ragionare né dell’arte della
seta et dell’arte della lana, né de’ guadagni né delle perdite,
mi conviene ragionare dello Stato et devo votarmi a parlare di
questo, oppure a restare zitto. Io sto dunque in villa tra i miei
pidocchi, senza trovare uomo che della virtù mia si ricordi; la casa
in cui dimoro non si può chiamare cattiva, ma io non la chiamerò
mai buona, perché è senza quelle comodità che si ricercano: le
stanze sono piccole, le finestre alte, un fondo di torre non è fatto
altrimenti; ha innanzi un pratello bitorzoluto, ed è sotterrata tra
i monti talmente che la più lunga veduta non passa mezzo miglio.
Cazzus,
è impossibile che io possa stare molto così, perché io mi logoro e
veggo, se Iddio non mi si mostrerà più favorevole, che io sarò un
dì forzato a pormi per precettore, o segretario, o ficcarmi in
qualche terra deserta ed insegnare leggere a’ fanciulli, et
lasciare qua la mia brigata.
Io
non vi scrivo questo perché io voglia che voi prendiate per me
disagio o briga, ma solo per sfogarmene, et per non vi scrivere più
di questa materia, come odiosa quanto ella può.
Valete
Silviuzzo
da Arcore
Firenze
Silviuzzo
honorando, quando io leggo i vostri titoli et considero con quanti
re, duchi et principi voi havete altre volte negoziato, mi ricordo di
Lisandro spartano, a cui dopo tante vittorie e trofei fu data la cura
di distribuire la carne a quelli medesimi soldati a cui sì
gloriosamente haveva comandato, et dico: vedi che mutati solum i visi
delli huomini e i colori estrinseci, le cose medesime tutte
ritornano, né vediamo accidente alcuno che in altri tempi non sia
stato veduto. Honorabile Silviuzzo, è certo gran cosa a considerare
quanto gli huomini siano ciechi nelle cose dove essi peccano, et
quanto siano acerrimi persecutori dei vizi che non hanno. I cittadini
vorrebbero a governare uno che insegnasse loro la via del Paradiso,
et io vorrei trovarne uno che insegnasse loro la via di andare a casa
del diavolo; et vorrebbero appresso che fosse huomo prudente,
integro, et io ne vorrei trovare uno più astuto del Savonarola.
Perché io credo che questo sarebbe il vero modo di andare in
Paradiso: imparare la via dello Inferno per fuggirla.
Lo
accordo nostro è stato consigliato veduti i comportamenti ambigui e
incerti, veduto il poco ordine delle genti nostre, veduti noi di
Italia poveri, ambitiosi et vili: ma si intende uno accordo che sia
fermo, non dubbio e intrigato, perché uno accordo netto è
salutifero, uno intrigato è al tutto pernicioso, et la rovina
nostra.
Sempre
vostro
Matteuccio
da Firenze
Arcore
Voi,
compare, con più avvisi dello amor vostro mi havete levato dallo
animo infinite molestie. La Fortuna ha voluto che standomi in villa,
io abbia corrispondenza d’affetto con una creatura tanto gentile,
tanto delicata, tanto nobile che io non potrei laudarla né amarla di
più. Avrei a dirvi gli inizi di questo amore, con che reti mi prese,
et vedreste che le furono reti d’oro, tese tra fiori, tessute da
Venere: bastivi sapere che, già vicino agli ottant’anni, ogni cosa
mi appare piana, né l’oscurità delle notti mi sbigottisce. Ho
lasciato dunque i pensieri delle cose grandi et gravi, et tucte si
sono convertite in ragionamenti dolci, di che ringrazio Venere e
tutta Cipro. Dicovi che ciò che mi fa stare ammirato è avere
trovato tanta devozione, perché il più delle volte le femmine
sogliono amare la fortuna et non li huomini, et quando essa si muta,
mutarsi anchor loro.
Vi
scrissi anche che l’otio mi faceva innamorato et così vi confermo,
perché ho quasi faccenda nessuna. Non posso molto leggere, a causa
della vista per l’età diminuita; non posso ire ai sollazzi se non
accompagnato; se mi occupo in pensieri, li più mi arrecano
melanchonia; et di necessità bisogna ridursi a pensare a cose
piacevoli, né so cosa che dilecti più, a pensare e a farlo, che il
fottere, et per quanto gli huomini filosofeggino, questa è la pura
verità, sulla quale molti sono d’accordo ma pochi la dicono.
Chi
vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse le
differenze tra quelle, si meraviglierebbe assai, perché gli parrebbe
ora che noi fussimi degli huomini gravi, tutti volti a cose grandi,
et che ne’ nostri petti non potesse cascare alcun pensiero che non
avesse in sé honestà e grandezza. Però di poi, voltando carta, gli
parrebbe quelli noi medesimi essere leggeri, incostanti, lascivi,
volti a cose vane. Questo modo di procedere, se a qualcuno pare sia
vituperoso, a me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che
è varia, et chi imita quella non può esser ripreso.
Io
nel mezzo di tutte le mie felicità non ebbi mai cosa che mi
dilectasse tanto quanto i ragionamenti vostri, perché da quelli
sempre imparavo qualche cosa; pensate dunque, trovandomi ora discosto
da ogn’altro bene, quanto mi sia stata grata la lectera vostra,
alla quale non manca altro che la vostra presenzia et il suono della
viva voce; et mentre la ho lecta, che la ho lecta più volte, ho
sempre dimenticato le infelici condizioni mia, et parmi essere
ritornato in quelli maneggi, dove io ho invano tante fatiche durate
et speso tanto tempo, benché io sia deciso a non pensare più a cose
di stato né a ragionarne, come ne fa fede l’essere io venuto in
villa. Ma, compare mio caro, ho speranza che non passerà 15 giorni
che potremo parlare insieme a Roma di molte cose. Io vi ho a dire
questo: che io verrò in ogni modo, né mi può impedire altro che
una malattia, che Iddio ne guardi.
Sono
vostro
Silviuzzo
da Arcore
Fonte
saccheggiata ma non tanto:
Niccolò
Machiavelli - Lettere a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini
(1513-1527)
Non si
maravigli alcuno se nel parlare che io farò degli accadimenti che
colpirono l’Italia nell’anno duemilatredici della fruttifera
incarnazione del Figliuolo di Dio, io addurrò grandissimi essempli:
perché, camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da
altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, deve uno
uomo prudente sempre percorrere vie battute da uomini grandi, e
quelli che sono stati eccellentissimi imitare.
Dico
adunque che in quel tempo l’Italia si trovava abundantissima d’ogni
cosa che è necessaria per lo vivere umano, ma tra le maggior
felicità che le si possono attribuire, questa credo sia la
principale: che da gran tempo essa era dominata da ottimi Signori. Di
questo stato di felicità dobbiamo dar merito a uno principe
eccellentissimo lo quale, di ricchissimo e gran mercatante cavalier
divenuto, nomavasi Messer Silvio Berluschetto. Egli era
ritenuto di grandissime possessioni e di gran lunga trapassava le
ricchezze di ogni altro ricchissimo cittadino che allora si sapesse
in Italia. Di
nobil animo ma di non leggiadre fattezze, per ciò che picciolo di
persona era e molto assettatuzzo, soleva occultare il suo difforme
aspetto, grazie all’ausilio di esperti cortigiani, con espedienti
massimamente astuti: per essemplo, indossava calzari con triplo tacco
per innalzar la statura, tal che niuno osasse malignamente chiamarlo
“nano”; soleva altresì dissimulare la vasta calvizie con segrete
misture mai a niuno rivelate. Questi,
tra l’altre cose sue lodevoli, nell’aspero sito di Arcore edificò
un palazzo, nell’opinione di molti il più bello che in tutta
Italia si ritrovi; e d’ogni opportuna cosa sì ben lo fornì, che
non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva. Quivi
eran tutte l’ore del giorno divise in onorevoli e piacevoli
esercizi, così del corpo come dell’animo. E tutto il dì i soavi
ragionamenti e l’oneste facezie s’udivano, e nel viso di ciascuno
dipinta si vedeva una gioconda ilarità, e a tutti nascea nell’animo
una summa contentezza ogni qualvolta al suo cospetto si riduceano. E
parea che questa fosse una catena che tutti in amor tenesse uniti. Il
medesimo era con le donne, con le quali si aveva onestissimo e
liberissimo commercio.
Ebbene:
manifesta cosa è che gli uomini tutti per natura sono inclinati più
al bene che al male; ma è tanto fragile la natura degli uomini e sì
spesse nel mondo le occasioni che invitano al male, che gli uomini si
lasciano spesso deviare dal bene. Accadde adunque che messer Silvio,
per la grande generosità e benevolentia dell’animo suo, fussi
turpemente ingannato da omini di malaffare, masnadieri al tutto privi
di morale e pudicizia, e fussi trascinato nel fango con ignominia
grande e scandalo degli onesti. E avvenne che, pensando tra se
medesimo lungamente, portatosi infine al cospetto del Capitano del
Popolo, Messer Arrigo Della Letta, a questo tali nobilissimi
accenti rivolse : “Io non voglio che voi d’alcuna cosa di me
dubitiate nè abbiate paura di ricevere per me alcun danno. Talchè
son pronto a rimettere immantinente ogni mio potere e affare nelle
mani vostre”.
Udito
che l’ebbe, e molto dolutosi del caso, Messer Arrigo ordinò
che venisse appo lui tal Niccolò della Ghedinesca, omo molto
di legi esperto, che i più conoscieno come messer Mavalà, il
quale molto dilettavasi nel profferir sentenze e volontierissimo
applicavasi a sostener le cause perse.
Venuto
adunque Messer Silvio, con messer Mavalà qual
testimonio, davanti al Capitano del Popolo, quegli costui interrogò:
“Or bene tu mi di’, figliuol mio, che se’ stato mercatante:
ingannasti tu mai persona così come fanno i mercatanti? O hai tu
peccato in avarizia, desiderando più che il convenevole, o tenendo
quello che tu tener non dovesti? O hai in lussuria con alcuna femina
peccato?”. “Messer no!” rispuose Berluschetto, che pur
piagnea forte, “Voi dovete sapere che io son così vergine come io
usci’ del corpo della mamma mia. E oltre di questo, per sostentar
la vita mia e per potere aiutar i poveri di Cristo, ho fatto mie
piccole mercatanzie, e sempre co’ i poveri di Dio ho partito a
mezzo quello che ho guadagnato, la mia metà convertendo ne’ miei
bisogni, l’altra metà dando a loro: e di ciò m’ha sì bene il
mio Creatore aiutato, che io ho sempre di bene in meglio fatto i
fatti miei”. E molte altre cose disse della sua lealtà e della sua
purità.
E
oltre a questo, domandò il buon messer Arrigo molte altre
cose, delle quali di tutte rispose a questo modo, e in brieve de’
così fatti ne gli disse molti; ma da ultimo cominciò a sospirare e
appresso a piagner forte e “Figliuo mio, che hai tu?” disse il
buon Arrigo. “Ohimè, messere, un peccato m’è rimaso, e
io ho gran vergogna di doverlo dire, e parmi esser molto certo che
Iddio non avrà misericordia di me per questo peccato”.
“Dillo
sicuramente, chè io prometto di pregar Dio per te”, rispose
Arrigo. Disse allora messer Silvio: ”Poscia che mi
promettete di pregar Dio per me, io il vi dirò: sappiate che quando
io era ancora piccolino, io bestemmiai una volta la madre mia” e
ciò detto ricominciò a piagner forte.
Disse
messer Arrigo: “O figliuol mio, or ti pare questo così gran
peccato? Non piagner, confortati, non credi che Egli perdoni a te
questo?” “Ohimè, che dite voi?” disse allora messer Silvio
“la mamma mia dolce, che mi portò in corpo nove mesi il dì e la
notte, e portommi in collo più di cento volte! Troppo è gran
peccato e se voi non pregate Iddio per me, egli non mi sarà mai
perdonato!”
Veggendo
Messer Arrigo e Messer Mavalà non esser altro restato
a dire a Berluschetto, ritennero lui per santissimo uomo,
niuna dubitatione avendo delle sue parole, e con grandissima festa e
solennità il recarono in chiesa; quindi, radunato in essa il vulgo,
persuadettero uomini e donne che con grandissima reverenza e
devozione colui si dovesse ricevere. E narrato che ebbero al popolo
della sua vita, della sua virginità, de’ suoi digiuni, della sua
semplicità e innocenzia e santità meravigliose, mostrarono ser
Silvio Berluschetto esser santo uomo. E con la maggior calca
del mondo da tutti si andò a baciargli i piedi e le mani, e tutti i
panni gli furono indosso stracciati, ritenendosi beato chi pure un
poco di quelli potesse avere. E in tanto crebbe la fama della sua
santità e la devozione a lui, che quasi niuno era, in alcuna
avversità fosse, che ad altri che a lui si votasse. E lui chiamarono
e chiamano San Berluschetto.
*
Fonti saccheggiate:
G.Boccaccio
Decameron, Giornata I, novella I, “Ser Ciappelletto”
B.Castiglione
Il libro del Cortegiano, Libro I cap.II
N.Machiavelli
Il Principe, cap.VI
Saretta
de' Giuseppini
Viaggio
nel tempo. Fra Medioevo e Rinascimento: “Utopia” (*)
Alcune
pregnanti riflessioni su equità e giustizia sociale in Italia
esposte dal primo ministro Enrico Letta al forum economico della
Süddeutsche Zeitung il 22 novembre, nel corso della visita
istituzionale a Berlino.
E.
Letta:
"Sono
convinto, a dir il vero, che dovunque si commisura ogni cosa col
danaro, non è possibile che tutto si faccia con giustizia e tutto
fiorisca per lo Stato. A meno che non pensiate che si agisca con
giustizia là dove le cose migliori vanno nelle mani dei peggiori
furfanti, o che lo Stato fiorisca dove tutti i beni son distribuiti
fra un esiguo numero di cittadini.
E'
questo il motivo per cui spesso in cuor mio penso alle istituzioni
prudentissime e giustissime degli Italiani, presso i quali lo Stato è
regolato così bene e da così poche leggi che non solo vi è onorato
e ricompensato il merito, ma anche l'uguaglianza è stabilita in modo
che ognuno ha abbondanza di ogni cosa.
Or
quando vado fra me considerando questo, giustifico Platone: era
facile infatti a quell'uomo sapientissimo antivedere che la sola e
unica via di salvezza dello Stato è d'imporre l'uguaglianza, la
quale non so se possa mai mantenersi dove molte ricchezze sono
proprietà di pochi. Ciascuno infatti, sotto determinati titoli, fa
sue quante più cose può, e per quanto grande sia il numero dei
beni, pochi son quelli che se li concentran tutti fra loro, lasciando
agli altri la miseria.
E
in generale avviene che ricchi e poveri dovrebbero scambiarsi la
propria sorte fra di loro, perché i primi sono rapaci, malvagi e
disutilacci, mentre i secondi al contrario sono uomini di moderazione
e di cuor semplice, e con la loro attività quotidiana si dimostrano
più benèfici allo Stato che a se stessi.
E'
evidente che far sparire del tutto la miseria non è possibile; ma
ben la si potrebbe alleviare un pochino, bisogna ammetterlo.
Evidentemente si potrebbe stabilire che nessuno possegga al di là di
una determinata quantità di beni; e fissare per legge la ricchezza
in danaro di ognuno; si potrebbe evitare che alcuni uomini siano
troppo potenti; e che si aspiri alle cariche per mezzo di brogli o di
denaro; o che si rendano necessarie grandi spese a chi occupa grandi
cariche pubbliche, giacché diversamente gli si porge occasione a
rifarsi economicamente per mezzo di frodi e rapine, e si sente poi il
bisogno di dar quelle cariche ai ricchi, mentre dovrebbero esser
rivestite dai saggi.
Con
tali leggi, allo stesso modo come corpi sfigurati dalle malattie si
ristorano per mezzo di continui palliativi, si potrebbero addolcire
questi mali e attenuare, ma di guarirli del tutto riducendoli in
buona salute, non c'è speranza assolutamente finché non ci sarà
una completa uguaglianza sociale. Anzi, mentre si cerca di curare un
membro del corpo, si irrita la piaga di un altro, e dal rimedio per
uno ha origine la malattia di un altro, per la buona ragione che non
si può dar qualcosa a uno senza togliere la stessa a un altro.
Se
ritenete che sia impossibile viver bene ed esserci abbondanza di
tutto dove non sia di sprone il pensiero del proprio guadagno e dove
gli uomini non riconoscono alcuna differenza fra loro, se nessuna
idea di uno Stato siffatto conforta il vostro spirito, è perché ne
avete un'idea falsa. Se voi foste stati meco in Italia, e aveste
osservato coi vostri occhi, dimorando ivi, i costumi e le istituzioni
di quel popolo, come ho fatto io, che non me ne vorrei mai
allontanare se non allo scopo di far conoscere questo al mondo,
confessereste allora di non aver mai trovato in nessun luogo un
popolo con una buona costituzione politica, tranne che lì."
Saretta de' Giuseppini
*
Fonte
saccheggiata:
Tommaso
Moro, "Utopia" Libro I, 1516
(T.Fiore,
Laterza 1986)
Viaggio nel tempo fra Medioevo e
Rinascimento. Messer Brunetta e li precari: "Elogio del dialogo"
(*)
"Non
posso dire, miei giovani amici, quanto piacere mi faccia incontrarmi
e stare con voi, che per le abitudini, per gli studi comuni, per la
vostra devozione per me, prediligo di particolare affetto. In un solo
punto, ma importantissimo, io tuttavia meno vi approvo: infatti
mentre in tutte le altre cose che riguardano i vostri studi ponete
quella cura e quell'attenzione che si convengono, vedo che una cosa
invece trascurate, e questa è l'abitudine e la consuetudine della
discussione. Che cosa può esservi infatti, in nome degli dèi
immortali, di più ragionevole per afferrare a pieno sottili verità,
della discussione? Che cosa c'è di meglio dei discorsi scambiati in
comune? Che cosa vi può esser di più adatto ad aguzzar l'ingegno, a
renderlo abile e sottile, della discussione, quando è necessario
applicarsi alla questione, riflettere, esaminare i termini,
concludere? E non c'è bisogno di dire quanto tutto ciò raffini il
nostro dire, e ci renda pronti e padroni del discorso.
Perciò
io, che mi preoccupo del vostro bene e desidero vedervi profittare al
massimo dei vostri studi e del vostro lavoro, non a torto mi sdegno
con voi perchè voi trascurate questa consuetudine del discutere, da
cui derivano tanti vantaggi. A quel modo infatti che conviene
biasimare l'agricoltore che, potendo coltivare tutta la sua terra, va
arando sterili dirupi e lascia incolta la parte più pingue e più
fertile del campo, così bisogna rimproverare chi s'impegna con la
massima cura negli studi e nel lavoro e trascura l'esercizio della
discussione da cui possono cogliersi tanti e così splendidi frutti.
Mi
ricordo che ancor giovanetto, in Bologna, dove [invano] studiavo
Grammatica avevo l'abitudine ogni giorno di non lasciar momento in
cui non discutessi, ora sfidando i compagni, ora chiedendo ai
maestri. Nè quel che facevo da giovanetto [allora ero piccolo...]
ho mai tralasciato anche in seguito, col passare degli anni; in
nessun momento della mia vita nulla mi fu più gradito, nulla ho
cercato di più che l'incontrarmi, quando era possibile, con giovani,
precari, lavoratori, fannulloni, bamboccioni ed esporre loro quel che
avevo letto e meditato, e su cui avevo dei dubbi, per sentire la loro
opinione in proposito."
Saretta
de' Giuseppini
*
Libero saccheggio da: Leonardo Bruni, Dialogi ad Petrum Paolum
Histrum, Libro primo (1401) ed.Ricciardi, 1952
Viaggio
nel tempo. Fra Medioevo e Rinascimento: “I miracoli di fra' Silvio
Cipolla”
...
Dovete adunque sapere ch'egli avviene spesso che sotto turpissime
forme d'uomini si truovano maravigliosi ingegni dalla natura riposti.
La qual cosa apparve in un de' nostri cittadini de' quali io intendo
brevemente ragionarvi.
Arcore
è, come voi forse avete potuto udire, un castel posto nel nostro
contado, il quale, quantunque piccol sia, di nobili uomini e d'agiati
è abitato. Nel quale, poichè buona pastura vi trovava, usò lungo
tempo d'andare ogni anno a ricoglier le limosine fatte loro dagli
sciocchi un de' frati, il cui nome era fra' Silvio Cipolla (per la
cagion che quel terreno produce cipolle famose in tutto il contado).
Era questo frate, di persona piccolo e isformato, di pelo rado, con
viso piatto e ricagnato, ed il miglior brigante del mondo; d'anni già
vecchio ma di senno baldanzoso e altiero, di sè ogni cosa presumeva,
con suoi modi e costumi tanto sazievole e rincrescevole, che niuna
persona era che ben gli volesse. Ed oltre a questo, niuna scienza
avendo, sì ottimo parlatore e pronto era, che chi conosciuto non
l'avesse, non solamente un gran rettorico l'avrebbe estimato, ma
avrebbe detto essere Cicerone medesimo, o forse Quintiliano. Egli,
secondo la sua usanza in agosto, essendo tutti gli uomini e le femine
da torno venuti alla messa nella canonica, quando tempo gli parve,
fattosi innanzi disse: "Signori e donne, voi dovete sapere che,
essendo io ancora molto giovane, io fui mandato in Truffia ed in
Buffia, paesi molto abitati e con grandi popoli, e di qui pervenni in
terra di Menzogna, ed in brieve tanto andai addentro, che io pervenni
infino là dove mi furon mostrate molte sante reliquie: il dito dello
Spirito Santo così intero e saldo come fu mai, e una dell'unghie dei
cherubini, e una delle coste del Verbum-caro-fatti-alle-finestre, ed
alquanti de' raggi della stella che apparve a' tre Magi in Oriente, e
un'ampolla del sudore di san Michele quando combattè col diavolo, e
la mascella della Morte di san Lazzero ed altre. E mi fu donato un
de' denti della santa croce ed in un'ampolletta alquanto del suono
delle campane del tempio di Salomone e la penna dell'agnol Gabriello;
e financo dei carboni co' quali fu il beatissimo martire san Lorenzo
arrostito. Le quali cose io tutte di qua meco divotamente le recai e,
temendo di fidarle altrui, sempre le porto meco. E mi pare esser
certo che volontà sia stata d' Iddio che io, col mostrarvi i
carboni, raccenda nei vostri animi la divozione. Perciò, figliuoli
benedetti, voglio che voi sappiate che chiunque da questi carboni in
segno di croce è toccato, può viver sicuro da povertà e affanni,
acquisterà salute, niuna tassa o balzello lo tormenterà, e sarà
pregiato sopra ogni altro, potrà sollazzarsi ogni dì con omini e
con femine, e senza alcun ritegno spendere, e niuna pestifera lege
gli darà tormento o pena. E poi che così detto ebbe, cantando una
lauda mostrò i carboni; e poi che la stolta moltitudine li ebbe con
ammirazione reverentemente guardati, tutti con grandissima calca
s'appressarono a frate Silvio e dando le migliori offerte ciascuno il
pregava che con essi li toccasse.
Per la
qual cosa fra' Silvio Cipolla, recatisi questi carboni in mano, sopra
i lor farsetti e sopra i veli delle donne cominciò a far le maggior
croci che vi capevano affermando che quanto essi scemavano a far
quelle croci, tanto poi ricrescevano. Ed in cotal guisa avendo tutti
crociato i fedeli, fece coloro rimanere scherniti, e poi che partito
si fu il vulgo, tanto ebbe riso che s'era creduto smascellare. E
tanto crebbe la divozione a lui, che molti miracoli affermavano che
Iddio avesse mostrato a chi divotamente a lui si raccomandasse.
Saretta
de' Giuseppini
[da:
G. Boccaccio, Decameron VI, 10]
Lettera-Corrispondenza da San Pietroburgo. Dom Durakov* [La casa dei matti] e quel volo in Turkmenistan
Buongiorno,
di mia
cità di Sankt-Peterburg io sempre segue vicende di Italiya. E io
preokupata perché vostro paese a me somilia a “casa di matti” in
belisimo film di grande direktor Konçalovskij, chi se titula “Dom
Durakov” e raconta di psykiatric hospital in confine
russko-checheno abandonato dopo fuga di dotori: lì giovane ragaza
Zhanna, shizofrenik, vive fuori di realtà, ignora guera e morte tuto
intorno, lei solo suona suo amato akkordeon chi cancela tragediya di
sua mente, e lei solo aspeta suo idolo rockstar Bryan Adams venuto di
Amerika e sogna lui sposa e porta lei via con sè!
Uguale,
vostra politicheskiy klass no vede tragediya di Italiya su orlo di
baratro: no è capace di governare, no prende effektivny decizia chi
risana ekonomia, e solo discute di poltrone e aleanze. Disokupazia
aumenta perché nesuno fa vere riforme; in grandi paesi di Europa, in
Germaniya, in Frantsiya, Gran Bretaniya, lavora tuti perché lavora
meno ore, con magiore produttività che Italiya. e questi Paesi ogi
ha buona ripreza ekonomika. Invece voi no libera posti, vechi
continua a lavorare e giovani no entra mai in mercato di lavoro.
Bravi ekonomisty dice Italiya sempre più perde sua kompetitivita, e
sua recesione è kronicheskiy. Io pensa vostro grande problem è
incapacità e korruptsiya di politicheskiy e dirigentiy klass, e no
capisce come voi tolera tuto questo: governo nomina ministry chi no
ha competenze; deputaty e senatory condannati siede in Parlament e in
Yeuroparlament; nesuno mai se dimete neanche dopo grave kazata (come
Minster di Giustizia, signora Kantseler); e pregiudicato Burleskon
tiene ostagio tutta politika!
Vostro
paese perfino premia con liquidazia millioner grandi manager come
Kolanin chi manda a putane grandi aziende come aviokompanya Alitalia,
e no manda invece loro a campo di lavoro in Sibir’! Oggi nesuno,
nemeno mia Rossiya, compra vostra aviakompaniya, quela no vale più
niente. Alora io consilia chi voi mette tuta dirigentsia di
aviokompanya su aerei Alitalia e porta loro in lontane regioni chi
una volta era di Rossiya. Molto bene per loro è grande regione di
Turkmenistan, dove aerei può depositare loro in capitale Aşgabat,
chi ogi è cità fantasma, e loro può amirare sontuosi edifici
disabitati (come faraonov palazi di Alitalia sparsi in tuto il
mondo), pasegiare su ampie strade deserte, amirare statue dorate di
prezident Gurbanguly Berdimuhammedov, chi impone culto di sua persona
come vostro Burleskon. Si loro ha nostalgia di Italiya, loro può se
iscrive a PD, Partito Democratico di Turkmenistan chi è unico
partito, e non ha imbarazo di scelta. Opure aerei può loro scaricare
in vicino Karakum desert (dove è "porta di inferno") e
manager può abita con molto ospitali pastori di dromedari e tuti
giorni può gustare latte fresco di cammella chi nutre e depura loro
organism. Loro deve solo stare un po’ atenti a lucertola zemzen chi
se chiama anche “cocodrillo di deserto”, poi a qualchi tarantola,
vedova, serpenti. Ma no è grave perikulo, pastori dice che se tu no
guardi serpente in suoi ochi, lui te no ucide.
Do
svidaniya!
Sara
Josefovskaja
*Andrej
Konçalovskij, 2002
Viaggio nel tempo. Tra Medioevo e
Rinascimento: “Apologia di B.” (*)
“Io non so proprio, o Italioti, quale
effetto abbiano prodotto su di voi i miei accusatori, ma poiché Dio
mi ha assegnato un posto di combattimento, sarei ben colpevole e
sarebbe veramente cosa grave se io, temendo le accuse, disertassi il
campo. Giacché - sappiatelo bene - è questo che mi ha comandato
Dio, e credo che nessun bene maggiore abbia il nostro Paese che
questo mio zelo a servirlo, sollecitando voi, giovani e vecchi, a non
prendervi cura né del corpo né delle ricchezze più che dell’anima,
giacché non dalla ricchezza deriva la virtù, ma dalla virtù la
ricchezza e ogni altro bene ai cittadini e al Paese.
Ascoltatemi dunque bene, o Italioti: mi
assolviate o no, state pur certi che io non muterò la mia condotta,
dovessi morire molte volte. E sappiate che se mi indurrete alle
dimissioni, più che a me recherete danno a voi stessi. Se mi
allontanerete, infatti, voi non troverete tanto facilmente un uomo
posto da Dio alla tutela del Paese come in groppa ad un cavallo
grande e generoso ma incline, per la sua stessa grandezza, alla
pigrizia, per cui ha bisogno d’esser stimolato dagli sproni. Questo
è l’ufficio a cui Dio mi ha destinato, perché abbia a stimolarvi,
ad esortarvi, a correggervi. Un uomo siffatto non lo riavrete più
tanto facilmente. E che io sia stato inviato al Paese come un dono di
Dio, lo potete desumere dal fatto che ho trascurato per tanti anni i
miei interessi personali e quelli della mia famiglia per occuparmi
soltanto di voi come un padre o un fratello maggiore affinché
coltivaste la virtù. E si potrebbe ancora capire se tutto ciò lo
avessi fatto per ricavarne vantaggi personali o qualche remunerazione
in denaro; ma voi vedete bene che gli accusatori, pur attribuendomi
spudoratamente tante colpe, non sono stati così spudorati da addurre
un solo testimone che affermasse d’aver io percepito o chiesto mai
denaro. Ma io invece ho un testimonio della verità di ciò che dico:
la mia povertà.
E tutta la mia vita, sia nelle funzioni
pubbliche che nelle mie private faccende, testimonia che mi sono
sempre mostrato tale da non concedere mai a nessuno cosa alcuna
contraria alla giustizia, chiunque egli fosse. Quanto a me, ho il
dovere di adempiere a questa missione commessami da Dio con vaticini,
con sogni e con tutti quei modi di cui un divino volere si serve per
ordinare cosa alcuna ad un uomo. Forse penserete che queste mie
parole siano dettate da un sentimento di orgoglio. No, o Italioti,
non è così! Piuttosto è che io sono persuaso di non aver mai fatto
torto ad alcuno e tanto meno, dunque, voglio fare torto a me stesso
assegnandomi la pena della rinuncia al governo del Paese. E per quale
motivo dovrei fare ciò? Quale vita menerei io a questa età,
passando da una città all’altra, sempre d’ogni parte cacciato
via? Perché so bene che dovunque andrò io terrò gli stessi
discorsi e tutti, come accade qui, mi ascolteranno.
A questo punto qualcuno potrebbe dirmi:
- Ma non sei capace, o B, andato che tu sia in esilio, di vivere
tranquillo tacendo? - Ecco ciò di cui mi pare veramente difficile
persuadere alcuno di voi: se vi dico che ciò per me è disubbidire a
Dio e che, di conseguenza, io non posso astenermene, voi non mi
credete e pensate che parli con ironia. Tuttavia, o Italioti, questa
è la verità, anche se non è facile persuadervene. D’altro canto
io non sono capace d’assuefarmi all’idea di rinunciare al governo
del Paese e credo fermamente, inoltre, che a colui che è buono non
può accadere nulla di male, e che gli Dei si prenderanno cura della
sua sorte. Per questo non sono affatto in collera con i miei
accusatori.
Ma vedo che è tempo ormai di andare,
io a comandare, voi ad ubbidire. Chi di noi avrà sorte migliore
occulto è a ognuno, tranne che a Dio.”
*Spudorata incursione in: Platone,
Apologia di Socrate (IV sec. a.C.) - trad. V.Stazzone. [ Mi perdoni
Platone e mi perdoni soprattutto Socrate ]
Saretta De' Giuseppini
Khaos.
Quando la nostra corrispondente da Sankt-Peterburg visitò Roma
Buongiorno. Io
chiede scusa che no bene scrive italiano, ma io bisogna di domandare
cose di vostro Paese che per me è molto stranisime. Io torna di mia
Sankt-Peterburg e vede Roma come cità di terzo mondo: net
organizatsyia e tuto khaos per poco di neve! Io domanda come sucede
che citadini non manda casa tuta administratsya e responsabili, e no
caccia sindaco da Kapitolii o che lui non dà dimisioni come
politicheskii fa in paesi civili.
Sindaco
Aledanno (così zhurnalisty chiama lui, da?) sbaglia pure in leggere
boletini e scambia millimetr (di acqua) con santimetr (di neve); e
lui no chiede scusa ma dice a rimskii "andate a spalare vostra
neve"! Nesuno sa perchè mezzi publici non ha catene in magazino
che tira fuori quando serve: forse pensa che a Roma mai può nevica?
Nesuno chiede scusa per centinaia di kilometri di code avtomobilyei,
per totale paralisi di cità e genti completamente abandonati! In
televidenie sindaco risponde a domande di zhurnalisty e lui fa pesimo
spectaculo: lui isterichnyi strilla tuto incazato che Protezione
Civile ha sbagliato, e dice pure che zhurnalist lui insulta. Ma
zhurnalist fa solo sue domande e sindaco invece dice "cialtrone"
e "impresentabile" ad altro chi non pensa come lui. Lui
parla pesimo italiano (mi acorgo pure io straniera!) e io perfino
pensato che no è lui, ma Croza chi fa imitatsiya e karikatura di
lui!
Mia
domanda è: come può che genti fatto lui - un fashist - sindaco di
importante cità Roma? Come può che lui ancora sta in Kapitolii dopo
questo, e anche dopo skandal di parentopoli (così voi dice, come
paperopoli, da? Io legge tuto questo in gazety di mia cità di
Sankt-Peterburg).
Come
può ancora che citadini acetta che lui masacra loro cità: inchiesta
di zhurnalist dice che Comune fa "project financing" e dà
uno million di metri cubi ai costruttori (palazinari voi dice, da?)
in cambio di loro completare linyia B di metro! Questa io pensa che è
grande follia!
Forse
Aledanno molto potente, perchè anche sua sistra Gabriela confermata
da "sobrio" governo Monti a capo di "Agenzia del
Territorio" anche si quella fato spese ingiustificabili di più
di uno million l'anno in sua administratsya!
Io
molto preocupata per italiani chi non trova forza per reagire a tuto
questo, come in mio grande Paese fa citadini di Moskva, chi va in
piaza Bolotnaya nel gelo a -20° per manifestare contro kandidatura
di Putin!
Do
svidaniya
Sara Josefovskaja
P.S.
Io legge che sindaco fato ordinanza chi dice a tuti chi lasciato auto
in raccordo anulare, di andare a riprendersi sua avtomobil. Io
domanda: lui ci è o ci fa?...
Viaggio nel tempo. Tra Medioevo e Rinascimento: “Silvio Degli Onesti, Pier Bersano e la caccia infernale”(*)
Furono
adunque un tempo, tra Lombardia e Romagna, assai nobili e gentili
uomini, tra’ quali un ricchissimo e gentil cavaliere chiamato
Silvio Degli Onesti. Il quale, sì come spesso naturalmente avviene,
s’innamorò di tale messere Pier Bersano, cavalier troppo più
nobile che esso non era, e prese a sperar, con le sue cortesie e
magnificenze, di indurlo ad amar lui. Ma le sue opere quantunque
grandissime, belle e laudevoli fossero, non gli giovavano, tanto
crudele e selvatico gli si mostrava l’amato e, forse per la sua
nobiltà, altiero e disdegnoso. La qual cosa era tanto a Silvio
gravosa a comportare, che per dolore più volte gli venne in
desiderio d’uccidersi. Poi, pur trattenendosene, molte volte si
mise in cuore di doverlo del tutto lasciare stare o se potesse averlo
in odio come quello aveva lui. Ma invano tale proponimento prendeva,
per ciò che pareva che quanto più la speranza mancasse, tanto più
si moltiplicasse il suo amore. Ora
avvenne che un venerdì, all’inizio di marzo, per più poter
pensare a suo piacere al crudel Bersano, comandato a tutta la servitù
che solo il lasciasse, se medesimo trasportò, pensando, infino a una
pineta. E qui entrato per mezzo miglio, non ricordandosi di mangiare
né d’altra cosa, subitamente gli parve di sentire grandissimo
pianto e grida altissime, e vide venire un bellissimo giovane ignudo
e tutto graffiato dalle frasche e dai pruni, che piagneva e gridava
forte mercè; ed oltre a questo gli vide ai fianchi due grandi e
feroci mastini li quali spesse volte lo giugnevano e lo mordevano; e
dietro a lui vide venire, sopra un corsier nero, un cavaliere bruno
con uno stocco in mano che con parole spaventevoli e villane quello
di morte minacciava.
Questa
cosa spavento e compassione a un tempo mise nell’animo di Silvio,
che cercò di liberare il giovine da siffatta angoscia e morte. Ma il
cavaliere gli gridò “Silvio, non t’impacciare. Lascia fare ai
cani e a me quello che questo giovane ha meritato. Io fui d’una
medesima terra teco, e fui tanto innamorato di costui quanto ora tu
se’ di messer Bersano; e per la sua crudeltà, con questo stocco
che tu ora mi vedi in mano, disperato m’uccisi e sono alle pene
eterne dannato. Né passò troppo tempo che costui, il qual della mia
morte fu lieto oltre misura, morì, e per lo peccato della sua
crudeltà similmente egli fu ed è dannato nelle pene de lo inferno.
Così ne fu a lui e a me per pena dato, a lui fuggirmi davanti, e a
me che già cotanto l’amai, di seguirlo come mortal nemico e non
come amato, e quante volte io lo raggiungo tante con questo stocco,
col quale uccisi me, io uccido lui. Né passa poi gran tempo che
egli, sì come la giustizia e la potenzia di Dio vuole, come se morto
non fosse stato, risurge, e da capo comincia la dolorosa caccia. Ed
avviene che ogni venerdì in su questa ora io lo raggiungo qui e ne
faccio lo strazio che vedi. Adunque, lasciami la divina giustizia
mandare ad esecuzione, né ti volere opporre a quello che tu non
potresti contrastare”. Ed
egli, finito il suo ragionare, a guisa d’un cane rabbioso, con lo
stocco in mano corse incontro al giovane il quale, inginocchiato, e
da’ due mastini tenuto forte, gli gridava mercè, e a lui con tutta
la forza diede per mezzo il petto e passollo da parte a parte; poi,
messo mano a un coltello, quello aprì nelle reni e trattone il cuore
e ogni altra cosa da torno, a’ due mastini li gittò li quali
affamatissimi incontinente il mangiarono. Né passò gran tempo che
il giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si
levò in piè e cominciò a fuggire, e i cani appresso di lui sempre
lacerandolo, e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo
stocco, lo ricominciò a seguitare, e in picciola ora si dileguarono
in maniera che più Silvio non li potè vedere. Il
quale, gran pezza stette tra il pietoso e il pauroso, e dopo alquanto
gli venne nella mente che questa cosa gli dovesse molto poter
servire, poi che ogni venerdì avvenia. Così, segnato il luogo, a’
suoi se ne tornò e disse loro: “Vorrei da voi una grazia, che
venerdì che viene voi facciate sì che Pier Bersano e i suoi
famigliari e lor parenti e altri che vi piacerà, siano qui a desinar
con me”. A costor parve cosa molto semplice da fare e quando tempo
fu, invitarono coloro i quali Silvio voleva, e benchè cosa molto
difficile fosse il potervi condurre anche il superbo amato, infine
anche questi vi andò con tutti gli altri insieme. Silvio
fece magnificamente apprestar loro da mangiare e fece le tavole
mettere sotto i pini dintorno a quel luogo dove aveva veduto lo
strazio del crudel giovine; e fatti mettere gli uomini e le donne a
tavola, ordinò che appunto il cavalier da lui amato fusse a sedere
dirimpetto al luogo dove dovea il fatto avvenire. Essendo dunque
venuta già l’ultima vivanda, da tutti fu cominciato a udire il
romor disperato del giovane cacciato e, levatisi tutti dritti, videro
il giovane e il cavaliere e i cani, e molti per aiutare il giovane si
fecero innanzi, ma il cavaliere parlando loro come a Silvio aveva
parlato, li spaventò e li riempì di meraviglia facendo quello che
altra volta avea fatto. La qual cosa al suo termine giunta, e andati
via il giovane e il cavaliere, tutti miseramente piangevano, ma chi
tra gli altri più ebbe di spavento fu il crudele Bersano, che
ricordandosi della crudeltà da lui usata verso Silvio, e conosciuto
che a sé più che ad altri queste cose toccavano, già gli parea
fuggire dinanzi da lui adirato e avere i mastini ai fianchi. E tanta
fu la paura che di questo gli nacque, che acciò che questo a lui non
avvenisse, avendo l’odio in amor tramutato al più presto, un suo
fido servo segretamente a Silvio mandò, e lo pregò che andasse da
lui perché egli era pronto a fare tutto ciò che fosse piacer di
lui. Al qual Silvio fece rispondere che ciò gli era gradito molto ma
che, se a lui piacesse, con onor del giovane voleva il suo piacere, e
questo era sposandolo. E Pier Bersano gli fece risponder che questo
gli piacea, e la domenica seguente messer Silvio e messer Bersano
celebrarono le nozze, e insieme a lungo e lietamente vissero.
(*) Libero
saccheggio da: G.Boccaccio, Decameron, V, 8 “Nastagio degli
Onesti”. Ogni
riferimento a fatti e persone della realtà è puramente intenzionale
Saretta de' Giuseppini
La dacia sulla Prospettiva Nevsky. Pryuty (pensiline)
Buongiorno,
io arriva di mia Sankt-Peterburg in vostra cità e lege in vostre
gazety chi Comune messo fotovoltaiki paneli in quatro piazze di
Sankt-Benedikt. Io imaginava questi un poco bruti, ma no credeva a
grandissimo kazoto in ochio, che quando io vede fra poco io sviene!
Vostra cità veramente somilia ora a Novokuznetsk, cità più brutta
di Rusia (io spera che voi no ofende di questo).
Come
può chi sindaco Kasparov e suoi admistratori e tekniki fa tute
kazaty e citadini no caccia via di loro poltrone? Asesore Kandusky
dice chi giunta comunale no ha visto disegni di pensiline, ma come
questo posibile? Vostri administratori dà apalti senza vede disegni
e proyekty?...
Kandusky
dice che dopo sposta pensiline in altri posti di cità, alora io
finalmente capisce: pensiline è opera di arte e Comune fa girare per
cità così tuti può amirare! Questo è veramente idea di grandi
geniy: loro mette paneli su grandi ruote e sposta per tuta
Sankt-Benedikt come opera di artist itinerante, e organiza visite
guidate per shkoly e studentov. D’estate può metere paneli su
spiagia, turistov ammira grande beleza di pilony e queli fa ombra
come grandi ombreloni di chalety!
Ma
io anche domanda a sindaco Kasparov, assesore Kandusky e a tuti
administratori: come voi dà apalto di paneli solari a stessa
kompaniya Ciarokki & Trojani (nome come eroi di Iliade, da?) chi
messo fotovoltaiki paneli in vostro futbol stadion e chi no ha mai
funzionato? In mia Rusia, questa kompaniya veniva spedita a lavori
forzati in Sibir’, voi invece premia lei e dà nuovo apalto. Forse
voi premia perché lei sempre è sponsor di vostro partito Pidì in
elezioni? Voi può mi spiega questo?
Quando
stati in Fiera di Rusia voi fatto furbeti, no ha meso in deplianty
foto di tralicci di vostre piaze come kazoto in ochio, da? Io pensa
che quando turistov russi vede questi, loro viene qui con chiavi
inglesi, chi in Rusia è di fero molto robusto!...
Do
svidaniya
Sara
Josefovskaja
La dacia sulla Prospettiva
Nevsky.
Come vedono l'Italia da San Pietroburgo
Buongiorno, io
scrive da mia cità Sankt-Peterburg perchè vuol esprimere mia
solidarnost' a voi italyanskij per grave politicheskaya ed
ekonomicheska situatsyia. Io lege in gazety chi vostra economia in
gravi difikulta: molti genti è molto poveri e pochi genti è molto
ricchi, e vostro governo aumenta tassi, e balzeli, e benzin, e
autostradi, ma genti ricchi no paga di più per suoi patrimoni e suoi
lussi, e lobbies potenti no consente liberalisatsya chi può abasare
costi. Lui dice chi questo è per risanamento di Paese, ma come Paese
sè risana si genti è in miseria, e economia sta ferma? E questo no
io dice, ma Bankitalia.
Governo toglie soldi
a kultura, a servizi, però no taglia privilegi di parlamentari e
loro spese absurdniy (invece ordina 400 nuovi blu-avtomobil!!), no
taglia soldi di finanziamento publico a partiti, no taglia spese
militari (invece compra misili di guerra F35 e dice che risparmia
solo perchè compra 90 in vece di 120: 30 aerei in meno è
"risparmio"? Vostri governanti pensa chi popolo è
stupido?). Ministra di lavoro, quella chi piange, dice che riforma di
lavoro aiuterà giovani, ma io no capisce come questo aiuta, si
lavoro no c'è o si c'è è precario, si aziende chiude e
imprenditori sè suicida tuti giorni come in krizis di '29 in
Amerika? Ma mia principale impresione è che vostro bol'shoi problema
è korruptsiya, e che italyanskij ha pegiore politicheskiĭ klass in
Europa. In mia Rusia tuti noi domanda come genti di Italiya vota
questi partiti vergognosi, chi nomina figli in cariche publiche e con
soldi publici compra oro e brillianty e case e porta soldi in estero,
perfino in Tanzaniya!
Questi è malfatori
chi quando era in governo - tuti indistintamente - fato legi razisti
e ksenofobii contro imigrati, messo reato di klandestinità (chi no
esiste in nesuno altro paese), kriminalizato imigrati e fato
"respingimenti" in mare, e molti genti morti e scomparsi
per questo, e ancora chiude immigrantov in lager fino a 18 mesi, e
nesuno si opone! E questi malfatori e ladroni oggi dice "faciamo
pulizia in nostro partito"! Questo per me è vero skandalnyi!
Situatsiya è molto bruta, in vostra Italiya, io perfino legge chi
vende suoi pezzi, come Isole Tremiti! Io prima credeva chi questo è
scherzo perchè a italyanskij molto piace di scherzare, poi creduto
chi è vero, perchè ogi voi ha nesuna volia di ridere, da?
Io no capisce perchè
italyanskij no scende in piaza e no manda a casa con grandi calcioni
in suo didietro i grandi trombony di politicheskikh partiĭ. Questi
sempre rimane in sua poltrona, parla in televidenie, zhurnalisty fa a
loro interv'yu tuti giorni come magiordomi e no tira microfono su
loro testa, e genti in strada no tira loro uovi marci. Io anche pensa
chi vostra Resistenza no è servita a niente si voi tenete questi
genti in partiti e in governo: come può chi voi non cacia via di
politika i fashisty chi in vostro 25 Aprel fa dichiarazioni chi
ofende e calpesta demokratiya? Ora io vuole, per mia grande
solidarnost' con voi, fare mia umile oferta: io mette mia grandisima
dacha vicino di Sankt-Peterburg a disposizione di voi italyanskij.
Voi porta lì tuti politici trombony e ladroni, e tuti loro mette
insieme chiusi dentro. E butta via chiave.
Do svidaniya.
Sara Josefovskaja
Viaggio nei musei (im)possibili. Lo “spezzatino” di Geneviève e un possibile museo delle opere di Lisa Ponti
Ci
lavoravano ad intermittenza ma con tigna da mesi, dentro il corpo
arrugginito, fino a spolparla. Ultimamente le avevano tranciato di
netto la prua, lasciandola sulla banchina a mo’ di trofeo, come una
gigantesca testa di pesce. Ancora troppo massiccia per alzarla e
spostarla, l’hanno quindi scoperchiata con le seghe, dandole
l’aspetto di quei cupi barconi carichi di immigrati che
tragicamente si arenano a Pantelleria o sulle coste di Sicilia. Oggi
hanno finito la prima parte del lavoro, sollevandone con due immense
gru l’opera viva (nessuna ironia: si chiama così lo scafo sotto la
linea di galleggiamento) con la grande elica ancora attaccata. Lo
“spezzatino” continuerà altrove.
Che
finaccia. Alla stoltezza delle rottamazioni di pescherecci di legno
eravamo quasi abituati, ma questa quasi-nave, tutta di ferro e
neanche tanto vecchia, dopo anni di tira e molla fra teste
non-pensanti, speravamo di non vederla spezzettare con tanta violenza
e cattiveria davanti a curiosi senza commozione. Dopo averla
ovviamente alleggerita dai componenti pericolosi per l’ambiente,
abbreviandone pure l’agonia, non si poteva trainarla al largo e
lasciarla affondare tutta intera? Sarebbe subito diventata una “casa
per pesci”, un prezioso centro riproduttivo di fauna marina.
La Geneviève avrebbe avuto una nuova vita, sott'acqua. Senza rischi,
si fa in tutto il mondo. Oppure, si sarebbe potuto tirarla in secco e
farci qualcosa, una volta puntellata per tenerla dritta. Non
necessariamente nell’area portuale avidamente appetita da interessi
di saccoccia. Anche in collina, lontano dall’abitato, in un posto
di nessuno.
Restaurandone
solo l’interno, senza spenderci troppo, sarebbe tornata utile: non
per ristoranti o sale giochi o centri shopping - una vera orgia, da
queste parti - ma per qualcosa che fosse legato alla cultura, al
pensiero, all’arte. Magari di non marinaresco, una volta tanto.
Penso ad un museo. Io avrei proposto di realizzarci il Museo delle
opere di Lisa Ponti, sono due anni che lei lo desidera e ce lo chiede
in tutte le maniere, preferendo fare un regalo a San Benedetto
piuttosto che a Parigi Milano NewYork o Berlino.
Ma
Geneviève ormai non c’è più.
Fra
poco ricominceranno le rottamazioni, meno spettacolari ma ugualmente
stupide e dolorose, di pescherecci più tradizionali. Vale la stessa
mia proposta: su un vecchio peschereccio di media grandezza destinato
alla distruzione, facciamoci il Museo di Lisa Ponti. Questa volta
l’ho detto “prima”…
Pier
Giorgio Camaioni
Viaggio
nell'assurdo dell'Italia distratta (e molto furba). I pini coi
calzini
Nel
giorno in cui Grottammare (AP), “Perla dell’Adriatico”, viene
magnificata nientemeno che in un inserto de “La Repubblica”- con
una marchettata da manuale che ne tesse le lodi amministrative e
ambientali - nel mio piccolo invito a posare lo sguardo sulla
centralissima pinetina di piazza Kursaal, lato sud-ovest. Allego una
foto scattata oggi pomeriggio.
Non ci
sarebbe nulla da spiegare, ma spiego. I “Pini coi calzini”
(bianchi) sono 19, e sono stati così conciati qualche mese fa
durante una specie di superstrombazzato EXPO di giardinaggio
(“Giardineggiando”) per sensibilizzare all’uso creativo di
piante nell’arredo cittadino. Manifestazione patrocinata dal Comune
e oltre, ovvio. Così, per motivi di scena, un espositore ha
verniciato di bianco 19 pini fino all’altezza di 2 metri e poi li
ha circondati con degli asfissianti lenzuoloni di nylon.
Nel
generale menefreghismo per questa scelleratezza, a me tapino che
chiedevo spiegazioni, veniva risposto (con fastidio) che quel bianco
sui tronchi era innocuo e sarebbe “sparito” da solo in pochissimo
tempo o alla prima pioggia. In ogni caso avevano tutte le
autorizzazioni e i permessi.
Sono
passati mesi, è cambiata - senza cambiare - pure l’Amministrazione,
ma i “calzini” sono sempre lì. Solo un po’ ingrigiti, oltre a
puzzare parecchio… anche ai pini sudano i piedi.
Petrini-Slow
Food certo non li ha visti, sennò ne avrebbe parlato nel suo mieloso
articolo. Repubblica sarebbe scesa a fotografarli (ma gliele regalo
io le foto). Peccato questa dimenticanza, Grottammare avrebbe avuto
una “perla” in più, con ‘sta medaglia appiccicata al suo già
perseguitato e tormentatissimo verde cittadino. Però, per
completezza d’informazione, possono sempre fare un supplemento al
servizio, cosa gli costa. Sbrigatevi ragazzi: quel menzionato
auto-incensato ristorante sul mare dove si mangia molto bene e bla
bla bla, finita la stagione, fra poco chiude…
Pier
Giorgio Camaioni
Viaggio
nell'assurdo mondo del gioco (d'azzardo) legalizzato. Con Agenzia
delle Entrate a fianco
Ma che
dico “vicini-vicini”, proprio attaccati! Divisi solo da un muro
da 28 a due teste, e forse all’interno perfino “comunicanti”
tramite delle porte stagne tipo sommergibile, immagino... Per cui,
con tutto il denaro che continuamente (de)fluisce nei due
edifici-contenitori (chiamiamoli vasi), l’intuitivo fenomeno
naturale descritto nel celebre “Principio dei vasi comunicanti” è
qui evidente meglio che in laboratorio: nel travaso-per-sifonamento,
il livello, la quota, l’altezza dei soldi nei due “vasi”, a
parità di pressione, resta costante. Come accade, nelle periferie di
Paperopoli, nei forzieri blu di Paperon de’ Paperoni: parliamo
infatti di “liquidi”, cioè di moneta, pecunia, money, argent.
Altro che reminiscenze scolastiche: è la fisica, bellezza. C’erano
stati già dei precedenti in città, come la grande Sala Bingo ad
angolo proprio davanti al Comune. Ma lì non era possibile il travaso
diretto di denaro, a causa della strada: la gente, coi soldi in bocca
vinti al Jackpot, doveva perigliosamente attraversare via Asiago per
portarli… chessò, sopra all’Urbanistica. Quella Sala Bingo
adesso mi pare sia chiusa, oppure è lei che hanno spostato di qua
verso nord, che alla fine è più pratico: con la crisi
dell’edilizia, oggi i soldi che non hai e che se sei fortunato puoi
solo vincere al gioco, devi portarli direttamente o da Equi-taglia o
all’Ufficio Territoriale dell’Agenzia delle Entrate. Ma mentre a
Equi-taglia indugiano ad attrezzarsi, questi hanno fatto prima:
soppresso un bar, voilà la luccicosa Sala Giochi Ballarin (Jakpot
500.000 euro) “vicina vicina” anzi attaccata all’Agenzia delle
Entrate. Addirittura “comunicante”, forse. Non è che sia senza
rischi, eh, l’operazione vinci-e-paghi: se vinci ed esci dalla
“Ballarin” dovrai vincere la forte tentazione di bypassare le
“Entrate” e come niente fosse squagliartela col bottino. Come ha
fatto l’altro giorno quello che, uscito dalla “Ballarin” con un
borsello gonfio, ha indugiato, guardato di qua e di là, fatto due
passi verso sud ma solo due non gli undici necessari per entrare alle
“Entrate”, e poi zac, ha attraversato di slancio, s’è infilato
nella Ford Fiesta grigio topo ed è sparito verso Grottammare
sgommando, dentro una scia di fumo nero. Che tenerezza…
Pier Giorgio Camaioni
Avventure
(semiserie) nel mondo. Viaggio a Ekaterinburg con sindaco annesso
Buongiorno,
Sindaco Kasparov! Io saputo che tu è stato in mia Russyia per
faticoso viagio di lavoro e io molto felice che tu ama mio Paese. Io
solo dispiaciuta chi no potuto incontrare: se io sapeva prima, poteva
venire in Moskva dove tu fatto skalo, o di mia Sankt-Peterburg
prendere volo direto fino Ekaterinburg e salutare te in aeroport e
sventolare bandierablu di Sankt Benedikt! Io spera che tu fatto
belisime sauny e mandato tue fotografii e alegrissimi tweet a tuoi
citadini chi aspetta ansiosi, e che tu no stancato per tropo bol’shoy
lavoro! Ogi io
legge in vostre gazety che tu ha voluto di risparmiare, dopo grande
spesa di primo viagio a Moskva. Ciò è molto bene, tu bravo citadino
chi no vuole pesare su bilancio publiko, alora io vuole te aiutare a
risparmiare ancora in tuoi prosimi viagi in mia Russyia: si tu e tua
Administratsia viagiate con bol’shoy organizatsiya chi se chiama
“Avventure nel mondo”, voi molto risparmia e vi molto divertite,
fate lungo camino a piedi in mezzo a natura, mangia poco, e voi torna
in Italia magri magri e in belisima forma, come dopo vacanza in
beauty farm! Da
Ekaterinburg, si tu vuole, in poco camino può passare confine e
arriva in vicino Kazakhstan, dove tu può creare relazioni di biznes
e anche fare gemelagi di picoli paesi con vostra Sankt Benedikt.
Durante percorso tu bisogna adatarti per allogio e cibo: tu può
dormire in tenda, chi è molto belo, ti sveglia al matino rumore di
mucche chi strappa erba proprio fuori di tua tenda, può sentire
pecore chi se sveglia in loro recinto e tosisce tute insieme come
vechietti per liberare suoi polmoni dopo notte al freddo; può
mangiare prodoti chi loro fa e vende per strade, come il yogurt chi
fa con latte di cavalla, e loro chiama kymys, e anche con latte di
cammella, chi se chiama shubat. Anche nostro grande trombone Putin
viene qui per tenere suo fisico sportivny.
Poi,
tu camina ancora e tu passa di Kazakhstan in Tajikstan, dove
atraversa valli con miniere di rubini - vostro Marko Polo anche parla
di quele - e tu può dormire con pastori in loro yurta: genti è
molto ospitali, e loro piace di fare fotografiya con te e tuoi
koleghi; poi tu può invita loro a Sankt Benedikt a vendere loro
prodoti e yogurt, a fare turizm, a comprare vostri case, aprire
banki. E loro può invita genti di Sankt Benedikt a lavorare in
miniere di rubini.
Si tu
vuoi, io può fare tua interpeter quando questi genti viene in tua
cità per fare vacanzi in vostri lusuosi hoteli o a fare acordi
komerciali per vendere loro yogurt o latte di cavalla e di cammella,
da?
Si tu
viaggi così, tu può conoscere molto bene mia Russyia e racontare di
quelo quando torna in tua cità; e zhurnalisti può dare informazie
geograficheskyi e ekonomicheskyi su mio Paese in sue gazety, senza
fare copia-incola da Wikipedia (da noi, si zhurnalisti fa questo,
Putin loro manda in Sibir’, da!).
Do
svidaniya!
Sara
Josefovskaja
Viaggio
a Spelonga. La festa bella all'albero (*)
Non è
un refuso, è che la festa all’albero gliel’hanno fatta
veramente, il 4 agosto, a Spelonga di Arquata del Tronto: per
ricordare gli spelongani che in epoca recentissima (1571…)
battagliarono a Lepanto (dove contro quella brava gente della Lega
Santa quel diavolone di Müezzinzdade Alì Pascià ci lasciò il
turbante e, ciò che più conta, la testa che ci stava sotto) segano
“un abete rosso lungo circa 30 metri scelto fra i più belli e
robusti del bosco” (!) destinato a “stendardo dei
festeggiamenti”.
Succede
ogni tre anni
Come
non rallegrarsene? C’è chi si prende cura dell’ambiente e del
comune benessere liberandoci dall'ingombrante presenza di alberi
cresciutelli: circa 30 metri ‘sto gigante, pensa un po', a guardare
in su ti sloghi una vertebra cervicale.
Eh sì,
alberi carissimi, è ora che abbassiate la cresta, chi credete di
essere: solo perché “tra i più belli e robusti del bosco”,
magari anche un po’ secolari, pensate di poter occupare impunemente
il bosco e di essere intoccabili? No, carini, c’è chi vi sistema a
dovere, e quale occasione migliore di una “Festa Bella” per farvi
la festa? E con tanto di padrini e patrocinatori, orgogliosi di
contribuire all’equilibrio ambientale: che come sanno anche i pupi
passa per l’indispensabile taglio di alberi, nei boschi, in città,
ovunque si voglia (oltre che per l’altrettanto indispensabile
caccia che ci libera da tanti animalacci fastidiosi). E sono padrini
paccuti: c’è la Provincia di Ascoli Piceno, c’è la Regione, il
Comune di Arquata, financo il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti
della Laga. Potete scommetterci che c’è la benedizione di Verdi,
Forestale, Segambiente, e di chissà quanti personaggioni ancora.
Inutile
che cerchiate di piantar casini, insieme magari a qualche esagitato
ambientalista: qua hanno tutto in regola e tutto autorizzato, altro
che, siete voi che ingombrate i boschi, sporcate le città, fate
troppa ombra, e poi vi lamentate se vi segano. Questi sì che sanno
come spazzar via in un amen tutto ‘sto verde superfluo: sega e
accetta, e vai col liscio. Le istituzioni applaudono, la stampa
riporta fedele e giubila.
Ve lo
dico io: questi hanno preso lezioni a San Benedetto del Tronto, dal premiato
Club della Sega e Motosega i cui membri - tutta l’Amministrazione
comunale, Verdi in testa, soci onorari i Comitati di quartiere -
vanno alla grande, segano come matti specialmente in città e danno
lezioni a tutti, qua intorno, a Grottammare, a Cupramarittima, ecc. E come
imparano bene, gli allievi, superano perfino i maestri. Contro gli
alberi tolleranza zero. Alberi avvisati…
Non
ringraziatemi. Dovere.
Sara Di Giuseppe
*“La
manifestazione si svolge durante tutto il mese di agosto; all’inizio
dell’estate un gruppo di esperti boscaioli spelongani si reca nel
Bosco del Farneto, sui Monti della Laga per scegliere e poi tagliare
un grosso albero, della lunghezza di 25/30 m. che diventerà l’albero
maestro della nave. Dopo il taglio, l’albero viene ripulito di
tutti i suoi rami, squadrato alla base e preparato per il suo
trasporto”. [http://www.spelonga.it/la-festa-bella/]
Viaggio
in mare con pattino. Come correvano i mosconi
Estinti
per estinti, i Pattìni intanto io li ri-chiamerei Mosconi, come una
volta. Magari rinascono. Un nome “popolare”, per l’imbarcazione
più rappresentativa del turismo balneare italiano. Chi li inventò
non era un grezzo, ci capiva, perché erano davvero opere
d’ingegneria e di design. Li costruivano in piccoli cantieri di
sapienti mastri d’ascia, per lo più dalle parti di Rimini e di
Ancona, rigorosamente in legno e tutti della stessa misura, neanche
si trattasse di una classe olimpica. Due magri galleggianti (come
pàttini da ghiaccio) tenuti insieme da 4 semplici ma solide
traverse, che sostenevano la panchetta per il vogatore e il comodo e
“fresco” sedile biposto con schienale - tutto a striscioline di
legno - per i “passeggeri”; al centro, un’unica comune
traversina poggiapiedi (a sezione triangolare). Due temibili scalmi e
due lunghi remi. Stop. Colore unico: azzurro-celeste per l’opera
viva e i remi, bianco tutto il resto. Bianco anche il nome dello
chalet pitturato alla buona sui galleggianti. Erano indistruttibili
questi mosconi, bastava ristuccarli e riverniciarli ogni due anni.
Anche un po’ pesanti certo, ma a nessuno di noi è venuta un’ernia
per sollevarli e trascinarli in due in acqua (ah, le esibizioni di
agilità e di muscoli…). Ma poi bastava un colpo d’occhio per
scegliere il più leggero. 200 lire l’ora. Per due ore e più li
affittavano i ricchi, quando non possedevano quello di famiglia (di
un altro colore, già chiamato pattìno, ecco di chi fu la colpa),
vigilato che guai a sfiorarlo e a cui toglievano i remi… Di mosconi
ce n’erano tanti, più di cento solo a San Benedetto. A Grottammare
minimo quaranta. Ma nelle ore topiche dovevi prenotarli, litigare col
bagnino e pazientare perché stavano tutti in mare. Un mare pulito
col profumo del mare, senza scogliere, dove potevi “navigare”
libero in lungo e in largo, dal molo sud a dopo il camping e da riva
fino ben oltre la quarta secca, quasi da non veder più gli
ombrelloni. Un mare silenzioso e vociante, fitto di mosconi,
barchette a vela e a remi, ciambelle gonfiabili e tanta gente che
sguazzava nuotava o faceva il morto. Sapevamo nuotare tutti, senza
scuole di nuoto, senza piscine-prigioni. In mare, grazie ai mosconi,
si “comunicava”: si parlava, si giocava, si amoreggiava, si
pescava le cozze, si abbordava, si gareggiava, si dormiva, si
leggeva, si litigava, si faceva merenda, si pensava, si faceva pipì.
Quando ci si scontrava, scuse sorrisi o vaffanculo. Dei temerari, se
di là non c’era Tito sarebbero andati fino in Jugoslavia. Sì, il
mare lo si viveva, grazie soprattutto ai mosconi. Solo se volevi
affogarti era un problema: c’era sempre uno di loro che ti
“salvava”…
Poi,
all’improvviso, la mutazione genetica: prima, quel bel panoramico
sedile biposto soppiantato da un subdolo materassino rigido
(esteticamente schifoso), poi i remi tramutati in pedali (grande
offesa per le biciclette), infine la malefica plastica al posto della
materia prima legno: e fummo tutti incamiciati nella sua pelle
sudaticcia e viscida. Così i mosconi diventarono pattìni. Intanto
il mare si era affollato di surf modaioli e di puzzolenti aggeggi a
motore, mentre sorgevano, invalicabili, i confini delle scogliere; in
acqua si “guidava” come per strada, poveri pedoni-bagnanti! A
riva le cose non andavano meglio: sparivano le sdraio di legno e
pezza sostituite dai lettinid’alluminio e PVC, gli ombrelloni
ingrassati prendevano forme barocche o diventavano gazebo, gli chalet
s’incementavano come banche, la spiaggia s’assottigliava e da
dorata diventava nera-come-il-carbon. I mosconi (diventati pattìni),
dopo le ultime corse, non avendo neanche spazio per riposare, caddero
in depressione e ZAC si estinsero. A Grottammare e San Benedetto ce
n’è rimasto qualcuno rosso“di salvataggio”: sui cavalletti,
con le ragnatele, che non ha voglia di salvare nessuno. In spiaggia o
ci s’abbronza, o si consuma, o si muore.
Ma
potrebbe ancora succedere che tornassero tra noi, i cari vecchi
“mosconi”, se gli dessimo una mano. Basterebbe eliminare le
dannose scogliere, pulire il mare, rimetterci i pesci, togliere le
sabbie nere e il troppo cemento dagli chalet, non sparare più ad
ogni festa i botti, chè li spaventano… Che ci vuole?
Sennò,
questo annuale nostalgico “Palio del Pattino”, a qualche maligno
sembrerà sempre più simile a un allegro funerale in mare.
Pier
Giorgio Camaioni
Appunti per un viaggio in mare. Il fascino della civiltà marinara. L'intervista di Alceo Lucidi a Gabriele Cavezzi
Gabriele
Cavezzi è nato a San Benedetto del Tronto il 24 maggio 1933 dove
risiede. Ha lavorato in qualità di Capo-Servizio
all’Economato-Ufficio Tecnico dell’Ospedale Civile della città
per 30 anni, quindi 2 anni in qualità di direttore amministrativo
del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica della USL 22 di S.
Benedetto. È stato segretario della Scuola Infermieri dello stesso
Ente, dove ha insegnato per 10 anni Diritto Amministrativo e
tecnologia ospedaliera.
Si
occupa di storia del Piceno dal 1985, con particolare riguardo alle
vicende legate alle attività marinare e alle emigrazioni. Nel 1991
ha fondato l’Istituto di ricerche delle Fonti per la Storia della
Civiltà Marinara Picena di cui è presidente; ha fondato e redige
l’organo di stampa dello stesso Istituto, il semestrale “CIMBAS”.
In quest’ultima veste ha partecipato a Convegni Nazionali e
Internazionali con relazioni sui temi attinenti l’attività
dell’Istituto, promuovendo iniziative di scambi culturali e
gemellaggi con comunità di emigrati sanbenedettesi, nonché con
organismi culturali stranieri. È autore di numerosi lavori
scientifici pubblicati, oltre che sulla rivista “CIMBAS”, su
organi d’informazione in Italia ed all’estero.
A.L. Da cosa prende spunto il tuo interesse per la storia locale?
G.C. Essendo sempre vissuto a San Benedetto, ho avuto modo di
cogliere la sua evoluzione in termini sociali, culturali ed
economici. Mi interessava però, particolarmente, andare alla radice
di questi fenomeni e quindi cominciai ad indagarne i precedenti
storici: le attività economiche ed imprenditoriali al pari delle
vicende politiche. Cominciai allora a ricercare, con sistematicità,
sia le fonti orali che quelle scritte attraverso i volumi editi da
altri, ma, soprattutto, per mezzo dei documenti di archivio. Con
il tempo, però, avendo intuito che sarebbe stato difficile
ricostruire storiograficamente le complesse dinamiche implicate negli
studi di tali eventi, decisi di concentrarmi maggiormente sulla
ricostruzione delle fonti della storia della civiltà marinara
sanbenedettese. In questo senso, assieme a degli amici, fondai, ormai
oltre venti anni fa, un centro di documentazione che si chiamava,
dato che ormai può dirsi in via di estinzione, ”Istituto di
ricerca per le fonti della storia della civiltà marinara picena”,
proprio perché San Benedetto del Tronto aveva rappresentato il
fulcro di questa storia e, in quanto tale, andava scelta come luogo
privilegiato ed imprescindibile di indagine storiografica. Ricordo
importanti convegni internazionali da noi realizzati, di cui due a
San Benedetto del Tronto ed altri due a Spalato, in uno spirito
largamente internazionale, proprio perché intuimmo che la storia
della civiltà marinara picena non era che un frammento di un mosaico
complessivo costituito dalla “Koinè” adriatica, se così
vogliamo dire, ovvero un sistema più generale di usi, costumi,
tradizioni ed appartenenze che comprendeva varie identità locali. Ci
siamo occupati anche delle nostre emigrazioni, nel continente
americano e a Viareggio, dove si impiantò una folta comunità di
sanbenedettesi, od anche in altri contesti, dove i “nostri” si
sono recati a lavorare seguendo delle professioni legate al mondo del
mare. Abbiamo caldeggiato il gemellaggio con Mar del Plata, per via
della presenza di un importante nucleo di conterranei, la famiglia
Contessi, che gestisce uno dei più grandi cantieri navali di tutta
l’Argentina. A Viareggio sostenemmo il gemellaggio tra le due
comunità pubblicando diversi volumi sulle migrazioni dei
sanbenedettesi, i quali, tra l’altro, si spinsero fino alla costa
ligure. Soprattutto,
decidemmo di dare vita ad una rivista specializzata chiamata
“Cimbas”, dal latino cimba ossia imbarcazione. La rivista
è arrivata fino al quarantaduesimo numero in termini grafici, poi è
stata chiusa perché non vi erano più fondi per finanziarla ed è
ora disponibile solo in formato elettronico su Internet per amici e
conoscenti. Con
l’Istituto partecipammo anche a seminari in cui andavamo a
confrontarci con storici di altre nazionalità, portando il
contributo della nostra memoria che non si riferiva solo alla pesca,
ma, ad esempio, al commercio piuttosto che ai rapporti tra le diverse
sponde dell’Adriatico - Croazia, Albania, Grecia - od anche ad
altre attività collaterali come quelle dei canapini, dei funai,
delle retare, dei calafati, della cantieristica. Trattammo anche, ci
sembrava doveroso, la questione dei lutti, perché San Benedetto ha
pagato un prezzo altissimo di uomini morti in mare.
Continuiamo
tuttora, ad ogni modo, nella ricerca delle fonti. Ad esempio, questa
mattina, qui alla Biblioteca di San Benedetto, sto consultando alcuni
giornali degli anni Cinquanta perché ritengo che vi sono dei periodi
della storia di San Benedetto, anche recenti, che restano non
sufficienti indagati e per i quali non si dispongono di fonti
documentali o storiche di prima mano ma semplicemente di articoli
giornalistici. A
tal riguardo faccio un appello all’Amministrazione affinché tutti
questi materiali di archivio, per la maggior parte quotidiani
d’epoca, presenti nella biblioteca civica, vengano rilegati e resi
maggiormente fruibili rispetto a quanto non venga fatto oggi.
A.L. Tornando al Museo della Storia della Civiltà Marinara
potresti raccontarci più dettagliatamente come è nato ed ha
articolato le proprie attività nel tempo?
G.C. Il museo nasce diversi anni fa grazie al “Circolo dei
Sanbenedettesi”, un’altra istituzione cittadina fortemente
meritoria che ha contributo in misura fondamentale, attraverso i suoi
studiosi, alla ricerca storica e documentale locale. Nel periodico
dell’associazione, “Lu Campanò”, io stesso ho pubblicato molti
interventi prima che nascesse la rivista specialistica “Cimbas”.
La nascita del museo cadde anche in un periodo particolare in cui
avvenne la donazione alla casa comunale, da parte del dott. Giovanni
Perotti, presidente del “Circolo dei Sanbenedettesi”, di una
collezione di anfore. Si trattava di oggetti rivenuti da diversi
pescatori ed offerti al Perotti. A
quel tempo l’assessore comunale alla cultura era il prof. Gino
Troli, il quale si adoperò immediatamente per fare catalogare questi
reperti, assieme a quelli appartenuti all’”Archeclub”,
consentendo che venissero poi organizzati ed inseriti all’interno
di uno spazio espositivo. Come sede del museo venne individuato un
locale sotterraneo dell’attuale Liceo Scientifico Statale cittadino
e lì sono rimasti per diverso tempo fino a quando non si decise di
assegnare a questo patrimonio archeologico una destinazione
scientificamente più consona e dignitosa. Venne
trasferita prima la parte riguardante le anfore, poi quella della
civiltà marinara, che oggi si trova al Mercato Ittico, per passare,
solo di recente, alla definitiva sistemazione dei materiali più
propriamente archeologici.
A.L. Tra i tanti interessi storici che hai maturato e sviluppato,
da cosa deriva quello riguardante Jack La Bolina?
G.C. Di Jack La Bolina mi sono interessato perché a San
Benedetto un po’ di tempo fa venne un comandante di navi, di cui
adesso non ricordo il nome, il quale era interessato a fare un
convegno per celebrare questo personaggio e mi chiese un contributo
che poi a mia volta pubblicai.
Jack
La Bolina proveniva da una famiglia fermana, quella dei Vecchi, che
fin dai primi del Settecento intraprese la vita dei traffici
commerciali con il mare. Successivamente emigrarono e si spostarono
ad Ascoli. Da lì in Abruzzo dove questo personaggio eclettico,
grande capitano di nave e narratore di storie sul mare, seguì i suoi
studi. Il resto della storia è nota ed ampiamente trattata, più di
quanto non si possa fare in una breve sintesi. Rimando volentieri a
quanto di questo autore esiste presso la Biblioteca comunale
“Giuseppe Lesca” che, tra l’altro, dispone, oltre che dei libri
di Jack La Bolina, anche di un’ammirevole collezione di volumi sul
mare e le sue più diverse espressioni: sociologiche, antropologiche,
storico-economiche, letterarie.
A.L. Quali sono le prospettive della moderna ricerca storica a
livello locale?
G.C. Le prospettive non sono delle migliori. Nel mio caso, avendo
ormai varcato la soglia degli ottant’anni, sicuramente le forze
fisiche ed intellettuali cominciano a venire meno. Diciamolo, non
esistono in questo settore grandi discendenti e, soprattutto, una
nuova generazione di studiosi già formata. Vi è però una persona,
che vale la pena ricordare e che continua ancora a misurarsi con la
ricerca nell’ambito della storia locale, di ambito marinaro
soprattutto, Giuseppe Merlini, il quale, finalmente, verrà insignito
del titolo di custode di questo importante patrimonio storiografico.
Assieme a lui va doverosamente indicata una schiera di storici,
piuttosto invecchiati anche loro, da sempre impegnata in
un’operazione continuo di recupero, ricerca e valorizzazione delle
fonti documentale del passato sanbenedettese, come, ad esempio, il
prof. Ugo Marinangeli, direi un precursore in questi ambiti
disciplinari, mio instancabile sostenitore, oppure l’ammiraglio
Silvestro di Roma, anch’egli anziano, nonché la signora Maria
Perla De Fazi, con tutti i problemi di una donna che lavora e con una
famiglia da accudire a carico.
Voglio
qui menzionare anche un Federico Olivieri, un Umberto Polidori o un
Sandro Sciarra, nonché Gianfranco Marzetti che cura gli aspetti
grafici della rivista “Cimbas”, oggi accessibile anche via
Internet sul sito www.cimbas.aletrvista.org. Tutte persone, però,
che, per un motivo o per l’altro, non hanno molto tempo per
dedicarsi pienamente, come andrebbe fatto, alla ricerca.
A.L. A quali studiosi hai fatto maggiormente riferimento nei tuoi
lavori di approfondimento e sistemazione di carattere storiografico.
Esistono dei capisaldi ai quali ti sei sentito di fare riferimento?
G.C. A dire il vero non mi sento di avere seguito un approccio
metodologico attinto da particolari studiosi, tipo un Nepi od un
Liburdi. Sono stati più che altro motivo per un confronto di idee e
prospettive. La loro era una storiografia divulgativa, mentre io,
assieme ai ricercatori a cui ho fatto cenno, mi sono sempre posto nei
confronti dei materiali vagliati con un atteggiamento ed un taglio di
natura scientifica. Voglio
dire che ci siamo mossi negli archivi italiani per verificare le
fonti nelle quali ci imbattevamo. Abbiamo tenuto lezioni presso
Università, non solo italiane, su queste materie. Venni convocato a
più riprese presso l’Università di Spalato per fare lezione sulla
storiografia trans-adriatica riferita al Piceno. Sono stato anche
insignito di una targa d’oro dal comune di Spalato per il mio
rapporto molto stretto con quella comunità e le sue travagliate
vicende, soprattutto durante il periodo bellico.
A.L. Quale appello ti sentiresti di lanciare, infine,
all’amministrazione pubblica per migliorare lo stato delle cose?
G.C. Abbiamo da poco donato il nostro fondo all’amministrazione
di San Benedetto, il quale verrà sistemato presso i locali della
biblioteca civica. E’ in corso un importante, meticoloso e delicato
lavoro di catalogazione dei materiali da parte del personale interno
specializzato. Si tratta dell’unica condizione - quella della
classificazione bibliografica - che ho posto per l’allocazione
dei volumi ma, come si può immaginare, la sistemazione è resa
complessa dal fatto che si tratta di libri che, per una buona parte,
provengono dalla Croazia, da Malta, così come dall’Emilia Romagna
e da altri contesti, per loro natura, diversi ed eterogenei. Tra
non molto, quindi, concluso il lavoro iniziale di identificazione
della massa libraria sarà possibile destinare i documenti - per la
maggiore parte riviste specialistiche - alla pubblica fruizione. Questo
fondo andrà ad aggiungersi alla già cospicua sezione sul mare della
Biblioteca a cui si accennava. Questa della “Biblioteca del Mare”,
come viene definita, fu una donazione, che a suo tempo favorii,
promossa da un altro grosso personaggio di San Benedetto del Tronto,
collezionista di testi di questo genere, il sig. Cesare Gobbi. Alla
sua morte in effetti, la vedova donò a noi, come istituto, la
libreria del marito e pensammo bene di farla avere, a nostra volta,
all’amministrazione comunale. Cesare Gobbi ha avuto una grande
influenza nella storia, gloriosa, della marineria sanbenedettese e ne
ha anche, per alcuni versi, segnato il corso. A
questo proposito vorrei prendere posizione contro tutto quel tono
stucchevole e melodrammatico che ha da sempre avvolto le vicende
riconducibili al mare. Voglio dire che determinate situazioni, che
più appartengono al nostro vissuto e alla nostra storia, le sentiamo
vicine solo vagamente od in maniera, diremmo, folklorica. Il
monumento “Lavorare, lavorare, lavorare: preferisco il rumore del
mare” per me è un’offesa a chi il rumore del mare lo ha sofferto
perché con esso ha dovuto lavorare. Non esiste un vero monumento ai
pescatori, così come non esiste un monumento ai funai, che,
nell’ambito della recentissima manifestazione in ricordo della loro
storia, mi sono sentito di sollecitare ai poteri pubblici. Speriamo
che qualcosa di tutto questo genere accada. Lo dobbiamo alla memoria
di chi con il mare e per il mare ha lottato.
Appunti
per un viaggio con Murakami Aruki, lo scrittore-fenomeno mondiale
...
una cotta bruciante per uno scrittore come te alla mia età? 54 anni.
Eppure
eccomi qui col cuore palpitante. Laicamente confesso. Lui è Murakami
Haruki. Giapponese
(tradotto magistralmente da Giorgio
Amitrano).
1Q84,
primo e secondo libro, Einaudi.
Acquistati casualmente alcuni mesi fa al supermercato, perché ogni
volta che ci vado mi propongo di riordinare i libri fuori posto e lo
faccio per una decina di minuti. Un pomeriggio questo 1Q84
mi ha detto: "dai prendimi con te". Detto, fatto. E mi ha
folgorato. La dimensione enne che non si sa se esiste, in realtà è
tanto reale quanto la vita. Ma io lo sento sin da piccola e Haruki:
anche lui sa. E siamo diventati amici.
Dimensione enne e A. Mica vi dico cosa significa A. Scoprirlo da soli
è meglio.
Finito
Norwegian wood
in vacanza, a mio parere un libro fondamentale per la gioventù, per
cercare una consapevolezza con la propria parte interiore (davvero al
pari de Il giovane Holden
di J. D. Salinger),
pensavo che dopo, chiusa l'ultima pagina, tutto il resto da leggere
sarebbe stato in salita, almeno per quest'estate. Sono arrivata
domenica sera alla stazione di Verona.
La Feltrinelli
aperta è deserta. Un piano terra, dove cercavo il libro Le
cose che non ho di G.
Delacourt da regalare, un
primo piano con ascensore. Salgo. Vedo il libro nero coi fiori rosa
rosso, me lo metto tra le mani. Poi mi guardo attorno. La commessa
bionda intenta a riempire gli scaffali, mi sorride. Faccio una
panoramica con lo sguardo e vedo una parete di: Giappone.
Scritto a caratteri cubitali. Mi avvicino. Le copertine mi guardano.
I libri non sono riordinati di costa. Murakami
è là di fronte a me. Allora è il suo cognome, se non c'è il
nome... Già ci sono arrivata anch'io. Einaudi
ha fatto il restyling della collana
Super ET. Detesto le
Mischung.
O tutti vecchia edizione o tutti nuova. Macché, mai riuscita
nell'intento...
Copertina
nera, cerchio rosso con dentro un uccello bianco che sembra la carica
delle vecchie sveglie, quelle che si giravano alla sera prima di
coricarsi. Tic tac, che era meglio che contare le pecore in caso di
insonnia. Titolo L'uccello
che girava le viti del mondo.
Aggiungo sulla mano sinistra. Vecchia edizione. Bellissimo.
Copertina
bianca, disco di vinile nero e rosso, rotto per metà, ma con
maestria grafica forma un volto di profilo. Dance
dance dance. Vecchia
edizione. Fa compagnia al precedente. Illustrazione di Suzanne
Dean. Grazie, che gusto
sobrio ed essenziale! Citiamo i copertinari, che fa bene alla forma.
Aggiungo sul braccio sempre sinistro. A questo punto decido che li
comprerò tutti. Ho il Bancomat e non mi frega niente di quello che
spenderò. Pane e cipolla e Murakami.
Deciso. Della vecchia edizione c'è Norwegian
wood. Letto.
Si
passa al restylato. Underground,
ovvero l'esperienza della bomba in metropolitana nel 1995. Aggiungo.
E La fine del mondo e il
paese delle meraviglie?
Manca. Mancano anche tutti gli altri. Quelli che non ho. Lo scaffale
sotto è di altri scrittori giapponesi. Uffa. Beh, tre è meglio di
uno.
Arrivo
alla cassa, la signorina bionda, sorridente, batte gli importi.
"Anche lei ama Murakami?
O si ama o si detesta", dice. "Oh sì, l'ho scoperto da
poco, ma lo amo. L'amore accade anche in libreria".
"Mi
mandi i suoi amici" dice un po' sconsolata, "i viaggiatori
sconfinati". "Ok, tutti quelli che posso, ciao". Le
rispondo.
Ieri
ero triste. Non capisco più gli anafettivi, gli egoisti, gli ingordi
di sé, voglio scrollarmeli dalle spalle del cuore. Una volta per
tutte.
Medicina?
L'unica che conosco. Un bel libro. Apro Dance
dance dance. Grazie uomo
pecora, grazie buio, grazie dimensione enne. Le 18.00, le 20.00, le
02.00, mi faccio il caffè. Fuori diluvia e grandina. Io sono al
sicuro tra le pagine di un Nobel.
Non l'ha ancora ricevuto? Tranquilli, manca poco.
Michaela
Menestrina
Cosa
non dimenticare in albergo. La storia della penna d'oro.
Fedeli
anche quest’anno, da Urbino e Urbania, siamo andati all’Aquila,
come giuria del premio di cultura, Ju
Zirè d’oro
di Mario Narducci. Una giornata splendida che ci ha donato di vedere
la Maiella innevata e contenti anche che l’urbinate Germana
Duca
abbia vinto un premio per la poesia. Riguardo a me, credevo di averla
fatta franca e vi dico perché: tutte le volte che esco di casa, mi
capita di lasciare qualche cosa in albergo: o un pezzo di pigiama o
un pullover o la radiolina… Questa volta è toccato alla penna
stilografica. (Sentirete mia moglie!). Ieri ho dovuto ricorrere alla
sostituta penna d’oro che avevo infilato nel taschino, perché
senza non ci so stare, sempre con il serbatoio a inchiostro, che ha
rischiato qualche volta di macchiarmi la camicia. Un oggetto
sorpassato, ma che fa scena, però mai pronto all’uso immediato e
allora devi sbattere, svitare, spingere la pancetta del serbatoio per
inumidire il pennino. Mentre facevo questi movimenti, chiedendo aiuto
e in attesa che qualcuno mi portasse una penna a sfera, l’amico che
mi era accanto, sorpreso della mia ricchezza aurea, si ricordò di
quello che aveva detto un illustre professore a proposito di penne,
sic!: “Una volta con penne d’oca si scrivevano parole d’oro,
oggi da una penna d’oro si scrivono parole d’oca”. Proprio come
capita a me!
Staretz
(Raimondo Rossi)
La collina si disegna
molle nel fitto di querce e olivi, acacie e canne. Sopra il verde
cupo della nuova primavera nell’ocra delle foglie che hanno
cambiato colore, due campanili. Si scorgono da lontano e modulano il
rilievo come pennoni di barche reduci da un viaggio pellegrino lungo
questo paesaggio, di alture morbide che si rincorrono sotto il cielo
abbracciando tutta una visione che disperde lo sguardo nei giochi
delle strade curve lungo le volute dei colli, e la natura è distesa
e avvolgente, selvosa e mite. Si disegna un’atmosfera
lontana dalle intermittenze frenetiche delle città, un luogo per chi
voglia ricordarsi un’altra faccia della vita, il volto della
campagna che si dona a fiotti, prezioso a disegnare sagome rotonde di
alture dove lo sguardo trova la sua pace, la sua fantasia appagata,
come in una festa raccontata nel passato, un sogno fatto a lungo, e a
lungo ricordato.
Monsampolo: una torre
di pietre scure, mentre il paese si profila, coi suoi acciottolati
che rampicano sul dorso della collina , per scandire un percorso che
somigli a una conquista, o a una reiterata preghiera. Le vie si
diramano irregolari come erbe, e tutte lentamente conducono alla
Piazza, dove vive chiuso nelle sue pietre antiche il Palazzo
Malaspina, in un silenzio prezioso che misura le distanze, gli
angoli, la facciata scabra della chiesa seicentesca, come in una
scena in attesa, un nitido porgersi allo sguardo, alla parola, al
ricordo. Voci che s’intrecciano tra finestre socchiuse, vasi di
geranio davanti alle porte, archi, androni che rinserrano altre
porte.
E viene voglia di
bussare, di chiedere ospitalità a questa gente del Piceno riservata
e umile, alle prime restia ma segretamente disposta al discorso, alla
confidenza…E curiosare nelle cucine ordinatissime, catturare
qualche antico profumo, e poi calcarle meditando, le strade che
guardano al cuore del borgo, rimasto intatto nei lunghi anni delle
sue pietre, che si sono accumulate a dar volto ad una civiltà e ad
una bellezza decisa ad accompagnarci ancora in un cammino amoroso.
Storie lontane rimbalzano alla vista nella prospettiva che circonda,
fino ai monti e al mare, lo specchio che accoglie lo sguardo e lo
riporta alla rotondità della terra, al mistero per cui siamo vivi,
al giorno, al sole disteso sul volto e al passare del tempo.
Enrica Loggi
Curiosità&Note
Nella
chiesa di Maria SS. Assunta campeggia la pala d'altare di Pietro
Gaia, raffigurante l' Ultima Cena (1596). Notevole anche il Chiostro
dell'ex Convento di S. Francesco (sec. XVII).
Il
Venerdì santo ha luogo la solenne Processione del Cristo Morto
risalente al sec. XVII con bara lignea dell'epoca.
Piatto
tipico: gli gnocchi di patate che vengono serviti a ferragosto
nell'annuale sagra.
Vini
: Produzione locale della Cantina Collevite: Passerina, Pecorino,
Falerio, Rosso Piceno Superiore.
Notevole anche il Chiostro dell'ex Convento?
RispondiEliminaletteratura e film strettamente interagire, cosa ne pensi https://altadefinizione1.co/ è popolare oggi?
Eliminadi Kazakhstan in Tajikstan
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